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Alla cieca per vederci meglio. Contributo a una fenomenologia del sorseggio in sé

3 Aprile 2016
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Alla cieca per vederci meglioHouse of the Amphitheater in Mérida SpainPoetica, etica, estetica e prassi della degustazione a bottiglie bendate. Contributo minimo a una fenomenologia del sorseggio in sé.

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“La vite se ne sbatte le palle del vino perché la sua natura profonda, il suo temperamento botanico è solo quello di gettare a terra il seme per rigenerarsi.”

Damijan Podversic

Assaggiare il vino senza sapere cos’è che si sta bevendo. Se non ci si fossilizza allo sterile esercizio masturbatorio-intellettualistico tra feticisti, bere alla cieca può invece assumere profondi connotati teorici di conoscenza molto pratica applicata alla materia così complessa solida/fluida che proprio il vino rappresenta.

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La liseuse (La lettrice) di Henri Fantin-latour (1861)

Bere a bottiglie bendate può approssimarsi per prassi a una sana dimensione d’obiettività organolettica in cui il testo da leggere è finalmente soltanto il vino in sé nel calice del tutto liberato da inquinamenti propagandistici, pregiudizi sociali e inquietanti condizionamenti del marketing. Siamo cioè ignari del titolo di copertina quindi non pregiudicati nel giudizio critico finale dall’immagine commerciale, dall’ideologia mercantile di fondo o dal brand d’un prodotto noto riconoscibile in etichetta e perciò condizionante il nostro reticolato nervoso d’impressioni intuitive, filamenti emotivi e pulsioni affettive attraverso il cui filtro valutiamo e giudichiamo  fin da subito profumi, puzzette e fragranze del liquido nel calice spaginato come un volume enciclopedico sensoriale innanzi a noi.

127+Ulisse+acceca+PolifemoÈ il nostro sistema nervoso infatti a segnare lo schema intricato d’intuizioni e di percezioni di fondo. È (siamo) una spugna epidermica tra un fuori verosimilmente reale (il mondo esterno) e un dentro di viscere, di flussi arteriosi e d’astrazioni vascolari che configura un apparato tanto fugace eppure consistente d’impressioni messo in moto dai nostri sensi a beneficio delle semplici – che non vuol dire semplicistiche – e spontanee sensazioni personali che contano di più e  cioè: mi piace-non-mi-piace, buono-non-buono, ognuno stimando secondo i propri livelli di raffinatezza soggettiva, parametri individuali di gusto che poi vanno riscontrati con variabili molto più oggettive, collettive e circoscritte quali: tipo di lavorazione nelle vigne, tecniche di vinificazione in cantina, sovraesposizione se non addirittura sopruso di queste tecniche o minor approccio invasivo possibile sia in campagna che in cantina; costo produttivo e prezzo finale, vino sterile-funebre elaborato secondo i protocolli farmaceutici da obitorio dell’enologo standard o vino vivo del contadino trapezista da millenni in bilico sull’orlo del precipizio fra l’Ossidazione e l’Aceto; e poi ancora tanti altri fattori fondamentali alla buona o alla cattiva riuscita del risultato finale nella botte prima, nella bottiglia dopo quindi nel calice e dentro di noi che lo accogliamo al termine del suo percorso partito dal seme fino all’esofago.

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Cornelis Bega, Contadino seduto con boccale

Abbiamo dunque solo questo vino nel bicchiere che è il romanzo da interpretare attraverso gli strumenti nudi e crudi messi a nostra disposizione dalla natura, strumenti affinati (abbigliati e cotti) dalla cultura cioè: l’olfatto, la vista, il sapore anche il suono perché no? Come di un libro di cui non conosciamo né titolo né autore dobbiamo allora provare a ricostruirne trama e struttura stilistica attraverso la lettura, capire dove va a parare dal timbro di scrittura, dalla ricostruzione d’ambienti, radiografare dalle tonalità dei dialoghi l’humus vigoroso o infetto della prosa, analizzare dallo svolgimento delle parole se il libro – cioè il vino – in questione appunto ci piace oppure no, se ha del sangue sano e ribollente a scorrergli nelle vene delle frasi o è qualche ultima lacrima di sangue pallido sottratta ad un cadavere. Il gusto a questo punto si trasfigura come fattore principalmente culturale, quindi è una specie di barometro che misura il grado di pressione atmosferica del nostro “vuoto” e/o “pieno” di civiltà.

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Andrea Solario, Maria Maddalena prepara l’olio d’unzione per il corpo del Cristo morto

Il libro-vino che abbiamo adesso tra le mani ci suona per caso falso? artefatto? mistificatorio? ornamentale? troppo di maniera? È solo una virtuosistica esercitazione d’arte per l’arte? un testo troppo costruito a tavolino? elaborato senz’anima o trasuda vita vera vissuta? perlustra vertiginosi abissi di dolore, di sapienze e di gioia? Sa trasmettere emozioni dirette, dure, non compromesse dai filtri frivoli, piacioni e ipocriti da best-seller della spendibilità per tutti e vendibilità usa-e-getta ad ogni fottuto costo? Sa sprizzare purezza e genialità priva di bieco narcisismo nonostante quei personaggi di carta finti eppure più veri del vero? Sa scintillare più profondo e più reale della stessa realtà? Ci fa venire i brividi alla spina dorsale? qualità rara quest’ultima ma controverifica assai certa che il grandissimo Nabokov attribuiva su se stesso – e che parametro! – alla lettura e al riconoscimento indiscutibile dei capolavori della letteratura…2e34gah

Ma noi qua si sta ragionando pur sempre del vino e il capolavoro che ci scuote la spina dorsale lo dovremmo riconoscere obiettivamente sempre e comunque “a pelle” nell’aderenza assoluta fra chi lo produce e noi che lo beviamo, nel rispetto coerente del territorio, nel sacrificio degl’avi e delle generazioni future, nelle fasi lunari, nella sostenibilità del suolo e dell’habitat ma in sostanza però e non per ripetuti cliché e niente affatto per slogan tipici da stronzeggiante campagna di marketing falsona ben assestata, ma confidando nel filosofico “amore di conoscenza” per il vino – merce-vino e vino-merce – senza che chi lo produce o chi lo smercia debbano necessariamente mercificarsi a loro volta al meretricio di un mercato sempre più manipolatorio, distratto, banalizzante e vuoto che appiattisce tutto e tutti nel suo alienante tritacarne consumistico.

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Scuola Olandese, Contadino seduto che beve in un interno

È materia molto scivolosa ora, incandescente come lava, è cosa ambigua – fenomenologicamente ambigua – questa faccenda del vino sempre sospeso tra soggettività e oggettività. Riguarda i gusti personali ma mette anche in circolo tutto un sistema conoscitivo pluridisciplinare di giudizi di valore che se applicato con scrupolo dal soggetto sbevazzante può figurare da metodo di inquadramento oggettivo del problema risultando alla fin fine pure quale approccio abbastanza scientifico se vogliamo – la scienza del bevitore di coscienza – o quantomeno funzionare da bussola d’orientamento su un caotico oceano mondiale di vini, di produttori, tecniche di vinificazione, filosofie produttive, scuole di pensiero enologiche, rese per ettaro, sistemi d’allevamento, sesti d’impianto, tipo di potature, lavorazione dei suoli, sperimentazioni d’affinamento, prove di macerazione, pratiche biodinamiche.

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Rilievo Gallo-Romano
Man hauling barrels to:from ship in a port (France mid 17th century)
(Francia metà del XVII secolo)

Un metodo funzionale di difficile puntualizzazione che non può essere codificabile perché ogni codificazione col tempo irrigidisce delle verità passate che diventano equivoci al presente se non addirittura bugie future: astruse regolette di scuola che si cristallizzano su se stesse perché certe verità non si insegnano ma vanno imparate singolarmente sulla pelle – possibilmente la propria -, tutta a favore dell’esperienza personale, della conoscenza incarnata e del riconoscimento con distinzione chiara e quasi sicura del verace ben separato dall’inautentico.mostra1Si tratta cioè infine di ricercare la verità fluida – stiamo sempre parlando del vino vi ricordo – la complessità in movimento di un cristallo perennemente in corso d’opera, sempre sull’atto di formarsi perché così è anche la nostra propria natura animale: deforme prima, uterina poi quindi man mano più o meno umana, grezza, sofistica, civilizzata, fallibile cioè in fase di crescita fino al deperimento terminale… una vita insomma che al pari di tutte le vite animali si sforma nuovamente con l’avvizzimento dei tessuti per giungere al decesso organico definitivo.

Geografia, agronomia, antropologia, geologia, storia, ampelografia, chimica, cosmologia, botanica, mitografia, epistemologia, tradizione orale, tecnologia, poemi epici… di quante discipline, di quanti saperi di quali linguaggi è sintesi la trasformazione fermentativa d’un solo chicco d’uva?

Ulisse e Polifemo nella grotta del ciclope - mosaico nella Villa del Casale di Piazza Armerina
Ulisse e Polifemo nella grotta del ciclope – mosaico nella Villa del Casale di Piazza Armerina

Ulisse con due occhi è l’eroe dell’intelligenza e dell’astuzia, Polifemo con un occhio solo è invece il cannibale mostruoso dalla brutalità e dall’istinto selvaggi.
Ulisse per accecare il Ciclope con un grosso ramo d’ulivo appuntito, lavorato al fuoco, deve però prima far ubriacare il gigante antropofago.
La forzatura metaforica viene quindi spontanea: Ulisse è il portavoce epico della razionalità, della ragione ordinatrice che per provare a se stessa la propria supremazia sul caos della natura ma soprattutto per completarsi ha necessariamente bisogno di competere contro di sé e contro una potenza maggiore. Deve misurarsi con l’impulso incontrollato della forza cieca espressa dal Ciclope portatore d’ottusità, fredda indifferenza e spietatezza, tanto da abbattere con le armi affilate della ragione imperialista il mostruoso Polifemo per superare così con orgoglio da conquistadores del Mediterraneo, con presunzione da pioniere proto-colonialista i propri oltraggiosi limiti umani troppo umani.

DamijanTutto questo excursus omerico assieme ad Odisseo al di là del limite storico-geografico delle colonne d’Ercole, mi riporta quindi dritto dritto alla frase sboccata a caldo dalle viscere dell’amico carissimo Damijan Podversic, viticoltore nel Collio, mentre proprio poco tempo fa si discuteva assieme tra casa sua, la vigna e la cantina, si ragionava dei massimi come dei minimi sistemi attorno al cosmo dell’uva, delle macerazioni medio-lunghe, del perfetto (o perfettibile) grado di maturazione dei vinaccioli, della fermentazione spontanea, delle temperature di cantina:

L’uomo è un cretino e la vite se ne sbatte le palle del vino perché la sua natura profonda, il suo temperamento botanico è solo quello di gettare a terra il seme per rigenerarsi. Il vino, anche se è la più spirituale delle droghe, è tuttavia solo una droga creata dall’uomo e per l’uomo il quale nel cerchio dei 365 giorni di un anno non può far altro che sbagliare“.

Ma è proprio in questo “sbagliare” aggiungerei io, nel commovente tentativo di arginare questo caos, nella forzatura ostinata e nel non evitabile margine d’errore umano è proprio qui che andrebbe quindi riconosciuta la mania dell’animale-uomo d’avvicinamento ossessivo alla perfezione – che è già questa, mi pare, una qualche lieve forma di perfezione. Siamo cioè sempre impaludati, ancora dopo secoli, nel dualismo cartesiano della res extensa e della res cogitans da cui non ne veniamo fuori se non talvolta, per pochi momenti, in quello stato d’effusione e di fusione alla natura proprio attraverso l’ebbrezza che il vino ci da’ e il vino ci toglie a suo buon cuore. L’animale-uomo dunque, eroe e cretino allo stesso tempo, aggregato indissolubile di sacrificio e di spreco, estremi irrimediabili di civiltà e selvatichezza, Polo Sud di materia e Polo Nord dello spirito.

Roman mosaic, from the House of Dionysus, depicting the legend of Dionysus teaching 
people the art of viticulture and wine production (3rd c AD, Paphos, Cyprus)
Mosaico Romano dalla Casa di Dioniso, rappresenta la leggenda di Dioniso che insegna agl’uomini la produzione del vino e l’arte della viticoltura (III sec d.C., Paphos, Cyprus)

Possiamo allora da qui, per redigere un approssimativo bilancio a queste divagazioni da vinosofi irrazionalisti, possiamo provare a sostituire Polifemo alla pianta che genera l’uva – la vite che è resistenza gigantesca, istinto rigenerativo puro – quindi rappresentarci dei tanti piccoli Ulisse negl’uomini e nelle donne che da millenni ne coltivano il frutto con l’astuzia opportunistica, il senso del dovere, la razionalità calcolatrice, lo spirito di sacrificio generazionale, la manipolazione tecnica e l’intelligenza regolatrice tanto da produrre poi quella merce artificiale-naturale-soprannaturale a seconda di chi la fa, di dove la si fa e di come la si fa, denominata VINO, nutrimento sacro allo spirito oltre che al corpo. Il vino, bevanda prodotta appunto dall’uomo e dalla donna, droga sociale ad uso esclusivo proprio dei commerci degl’uomini e delle donne i quali alla fin fine poi sempre attraverso il vino, se usato con equilibrata sobrietà – ma qui ci sarebbe da chiedersi se non sia nella natura più intima e malevola del vino anche l’abusarne proprio al fine di “squilibrarsi” -, quegli stessi eroi cretini d’uomini e donne raggiungono a seconda dei casi d’ubriachezza più o meno molesta una dimensione quasi sovrumana cioè a dire divina in cui l’Ulisse femmina e l’Ulisse maschio nostri simili diventano un tutt’uno di scaltrezza e di forza amalgamandosi alla perfezione – o alla quasi perfezione cui follemente sempre tendono – per completarsi col loro nemico più mortale cioè con Polifemo stesso.

PolifemoCiecoSedutoAllIngressoDellaSuaCaverna-Heinrich Fussli
Heinrich Fussli, Polifemo cieco seduto all’ingresso della sua caverna