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Dieta Kasher E Filiera Alimentare

12 Dicembre 2016
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Ogni uomo dovrebbe essere educato a non essere distruttivo.

(Mishneh Torah, Hilchoth Melachim 6, 10)

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La Dieta Kasher come efficace modello d’indagine individuale sulla filiera alimentare

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Un libro che è una miscellanea di studi pubblicato nel 2015 da La Giuntina: La Dieta Kasher. Storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica a cura di Rossella Tercatin, ci offre spunti molto interessanti per riflettere su alcuni temi essenziali alla scienza gastronomica e all’enologia, soprattutto in materia di burocarzia formale, di certificazione bio, biodinamica, naturale, sostenibile. Di Denominazioni d’Origine Controllata-Protetta-Garantita, di trattamento, di processo tecnico, di trasformazione e confezionamento/imbottigliamento delle materie prime dal seme al prodotto finito.

Leggo nella presentazione della raccolta a cura di Giorgio Mortara :

“La dieta kasher e le norme della kasherut hanno ricevuto una crescente attenzione negli ultimi decenni via via che si diffondeva un po’ ovunque la convinzione che un continuo attento controllo di tutta la filiera alimentare, a partire dalla coltivazione e messa in commercio, garantisca la qualità del prodotto: una rigorosa etichettatura certificata permette di essere sicuri della natura degli ingredienti e conservanti presenti nella confezione anche a distanza dal luogo di produzione.”

fullsizerender-copy-4Il controllo della purezza o dell’impurità di un alimento è materia d’indagine affascinante che richiederebbe un approccio laico, multidisciplinare. Le questioni in gioco sono tante, enormi. Il nutrimento delle genti, il rispetto del bene proprio e di quello altrui, l’igiene pubblica/privata, lo stato di salute degli animali, l’inquinamento delle risorse idriche, la contaminazione dei suoli, l’ammorbamento dell’aria, la distruzione vegetale, la devastazione del territorio, la cura dell’habitat entro cui respiriamo, la prevaricazione della Tecno-Scienza sulla Manualità, il senso di fiducia o inaffidabilità nei confronti del prodotto-finito – sia esso industriale o artigianale – che si trova davanti ai nostri occhi, prima di essere ingerito dopo un tortuoso percorso nel ciclo della filiera produttiva che lo identifica da materia prima, in materia trasformata, a merce.

fullsizerender-copy-3Visto dall’esterno di una tradizione millenaria, osservato da una prospettiva prettamente agnostica d’impronta volterriano-illuminista – che è poi la prospettiva in cui mi sento più a mio agio – sono sempre stato affascinato dall’idea ebraica quindi dalla pratica alimentare kashèr (kòsher nella pronuncia aschkenazita). 

Kashèr significa che un alimento è permessoadatto alla consumazione così come stabilito nei principi fondativi della Torà e del Talmud. Leggi di comportamento codificate nei secoli che imbastiscono un sistema ferreo di regole necessarie fondamentalmente a cristallizzare il forte, profondo senso di appartenenza ad una comunità come quella ebraica, radicata a maggior ragione ancor più nello sradicamento dell’esodo e della diaspora millenari.

[Qui la lista delle regole relative al cibo nella religione giudaica].nypl-digitalcollections-bb9df2df-aab3-f2c8-e040-e00a180626d6-001-w La kasherut (casherut) è quindi, letteralmente, adeguatezza, ovvero l’idoneità di un cibo a poter essere consumato dal popolo ebraico. Animali permessi o proibiti, divieto del sangue e di certi grassi, modalità di macellazione e proibizione di uso d’animali sbranati o morti di morte naturale, divieto del nervo sciatico, mescolanza di carne e latte… I mashghihim (i supervisori) sono gli addetti all’analisi dei prodotti primari, i certificatoti della qualità kòsher attenti a controllare eventuali tracce d’impurità intercettate negl’alimenti (aromi o conservanti a base di animali “impuri” ad es.), presenza di parassiti o insetti. I mashghihim sorvegliano la produzione assicurando l’assenza totale di proteine del latte sui prodotti certificati parve (privi cioè d’ingredienti a base di latte o carne).ac6079c9e9ec21b08215a77a658d8fc4Questo senso di controllo della filiera genera nel pubblico dei consumatori più attenti, la percezione collettiva d’una garanzia di alta qualità e affidabilità del prodotto. Istituisce fiducia maggiore nei consumatori non soltanto di appartenenza religiosa o culturale ebraica, ma di tutti i gruppi etnici, in particolari di quelle popolazioni urbane ad altissimo rischio di salute pubblica (obesità, sovrappeso ed altri disturbi alimentari) sottoposte come sono allo stress della vita cittadina, agli alimenti e alle bevande chimicamente processati dall’industria, alla sottocultura dei cibi da fast-food a base di zuccheri raffinati e grassi saturi.

C’è un business molto solido dietro i cibi e i vini kosher soprattutto negli Stati Uniti, che genera fatturati impressionanti. Tanti sono poi gli enti certificatori, il più prestigioso, il più antico dei quali  è l’Orthodox Union fondata nel 1898.4125996_origÈ quasi impossibile non farlo, ma vorrei però non addentrarmi tanto nel merito teologico delle questioni bibliche o nell’ambito dei divieti dogmatici, delle diete e delle proibizioni di natura religiosa che possono aver presumibilmente avuto origine in ragioni d’ordine medico-giuridico-scientifico. Oltretutto, come in ogni faccenda umana, soprattutto in ambiti d’interesse commerciale dove la pressione economica è stringente e interessata essenzialmente all’utile monetario, per quanto disciplinati da regolamenti, principi etici e protocolli, ci sarebbe tuttavia sempre da valutare, a rischio di perdere per strada ogni ragione pratica, sulla qualità della verifica stessa, sullo statuto di verifica in sé, per quanto scrupolosa possa essere l’onestà di partenza dei verificatori della qualità alimentare. Cioè, a voler fare le cose fatte come si deve, si instaurerebbe un ingovernabile modello di controllo del controllo, un sistema di controllori dei controllori applicati alla verifica della verifica della verifica… senza fine.

fullsizerender-copy-2Certo però che il monito divino all’indirizzo d’Adamo ed Eva di non mangiare il frutto dall’albero della conoscenza è una parabola molto significativa che trasfigura in un divieto alimentare (dunque materiale) altre proibizioni di matrice morale o intellettuale (ovvero spirituale) come la questione del Bene e del Male, mettendo al centro dell’origine storica dell’uomo e della donna proprio l’atto naturale di nutrirsi, il gesto cioè così semplice eppure tanto complesso di conoscere, masticare e digerire il mondo attraverso la bocca, il palato, il gusto personale [rimando quindi alla lettura illuminante dell’antropologo David Le Breton, Il Sapore del Mondo. Un’Antropologia dei Sensi (Raffaello Cortina Editore)

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Le regole alimentari fanno parte di un più ampio gruppo di norme che riguardano il rispetto degli animali e la conservazione della natura perché l’uomo è considerato un collaboratore di Dio nella salvaguardia del creato.”

E ancora, come la citazione precedente, anche questa che segue è sempre di Riccardo Segni, Rabbino Capo di Roma, torna utile a ricordarci che il mangiare kashèr: “rappresenta un elemento essenziale della identità ebraica con il quale anche gli ebrei più lontani dall’osservanza si misurano in qualche modo. È un mondo di divieti e di attenzioni, ma anche di valori, di idee e di messaggi, in una prospettiva trasversale che va dal rapporto con la natura all’igiene, passando per considerazioni ecologiche ed economiche, di storia delle religioni e di rigore morale.”

Ora, in seguito alle riflessioni suscitate dagli schemi di controllo della dieta kasher, per concludere in merito alla gran confusione sul campo del biologico, del biodinamico, del naturale, del sostenibile soprattuto nel mondo del vino, partendo da questa domanda sempre aperta:

“(…) ciò che fa l’uomo è sempre meno salutare di ciò che fa la natura?”

propongo la lettura e rilettura di un articolo chiarificatore [leggi qui l’articolo] di Maurizio Gily [Mille Vigne] che mette vari pesi e contrappesi sulla bilancia dei ragionamenti cioè delle pratiche vitivinicole relativi ad una sana, consapevole economia agronomica. dfa8ca54c87136417742eb0eb52b0b9cPartirei quindi proprio da questa felice sintesi per cominciare a costruire – utopia delle utopie – un tetto comune sotto il quale potrebbero tranquillamente coesistere realtà aziendali, sottogruppi e filosofie produttive differenti ma tutte animate da un medesimo flusso d’onestà intellettuale; una consistente massa critica di vignaioli cioè, ispirati da un comune filo rosso di buon senso che sia veramente rispettoso dell’ambiente, della salute dei lavoratori nelle vigne e di quella dei consumatori finali.

Perché, alla fine dei conti, come insegna la morale kasher, siamo tutti dei piccoli anelli congiunti di una più grande catena alimentare che ci connette al regno minerale a quello vegetale e quello animale.fullsizerender-copy-6

 

 

Le Poche Ma Sane Vie del Buon Latte

10 Ottobre 2016
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Sonja: Io credo… di essere mezza santa e mezza vacca.

Boris: Scelgo la metà che dà il latte.

(Woody Allen – Amore e Guerra)

Não chore sobre o leite derramado. (Proverbio brasiliano)

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Le poche ma sane vie del buon latte. (Qualità effettiva e misurazioni analitiche del cibo).

Neppure una settimana fa [1 ottobre 2016] ho avuto la gioia di partecipare ad una preziosa iniziativa. Sono stato invitato cioè ad un interessantissimo ed approfondito laboratorio di degustazione del latte come raccontavo nel seguente post social che ha nidificato vespai di discussioni accese, suscitato notevole interesse, coinvolto un folto seguito d’incuriositi sull’argomento, scatenato molteplici condivisioni in rete {link}.

Degustazione alla cieca di 5 latti:

a) Latte Nobile Cascina Roseleto Latteria Contadina non omogeneizzato (giallino avorio, mandorle, cocco, intensità, fragranza, profumo di pascolo);
b) Frische Bio-Alpenmilch non-omogeneizzato (grasso, giallo-paglia intenso, nutritivo, denso);
c) Granarolo Biologico Latte Intero (puzza di colla e plastica bruciata);
d) Granarolo fresco intero Alta Qualità (sterile, piatto, sbiancato, acidulo);
e) Parmalat latte intero UHT a lunga conservazione Gold for Kids un progetto di Fondaz. Umberto Veronesi (caramellizzazione, zuccheri bruciati.. da scaricare nel cesso altro che “nutrire insieme la ricerca”).14520535_1850576901837201_4102725802999575541_n
Assieme a me c’erano agronomi, nutrizionisti, produttori di formaggio, casari e un ben nutrito pubblico d’appassionati riuniti attorno al tema magmatico della filiera alimentare che nel caso specifico era proprio quella inerente al latte. Sì, il latte: alimento/elemento centrale attorno a cui ha ruotato tutta la giornata di studio di lavoro e d’assaggio. Che cos’è, da dove proviene, come e chi lo fa.. il latte? Domande basilari a cui l’industria alimentare ci ha sempre più disabituato a rispondere.

Per raccordare una sorta di polifonia dei punti di vista sul senso della giornata, questo che segue in verde ad esempio è il punto di vista di Francesco Zaccagnini de Il Pasto Nudo:

Ci sono forti interessi in ballo, questo è sicuro, ma lo scopo della giornata è stato appunto quello di mostrare come la demonizzazione del latte sia conseguente al suo impoverimento e deterioramento a opera dell’industria.erratacorrigeft-614x300

Come Pasto Nudo, sconsigliamo assolutamente a tutti il consumo di latte, laddove il latte è quello di animali sofferenti allevati in zootecnia intensiva, alimentati secondo principi che seguono logiche di guadagno e non il benessere dell’animale, e processato con trattamenti che ne pregiudicano tutte le proprietà nutritive.

Non c’è bisogno di citare marche, dato che il latte presente sugli scaffali dei supermercati è tutto della stessa qualità, ma affermare che quello sia l’unico latte esistente è falso.logo2014newConsigliamo invece il consumo di latte bovino se da allevamenti estensivi, con pochi animali al pascolo su prati polifiti, e possibilmente di montagna.

Un consumo moderato e coerente con il tipo di alimento che è il latte quando è vero, che a differenza del latte impoverito fornisce importanti sostanze nutraceutiche alla nostra alimentazione.

Tutte queste informazioni sono state ampiamente argomentate durante l’intera giornata, di cui la degustazione alla cieca è stata solo una breve parentesi.d32cb473159c10a728b4221c4d3d78bfCome si può leggere Francesco argomenta molto bene il senso del workshop su cui inviterei tutti i lettori a meditare con più calma. Al di la’ che il latte faccia male o che se ne possa anche fare a meno, il senso sostanziale di questa giornata sul tema è stato soprattutto quello di suscitare lo stimolo a ragionare con maggior accortezza, ad infondere una presa di coscienza sulla materia prima da cui originano formaggi e latticini vari così come si dovrebbe fare altrettanto con altre filiere diffuse: l’uva=vino, il grano=pane/pasta, l’orzo=birra etc.

Oltre alla fondamentale degustazione “bendata” dei cinque latti in batteria, momenti salienti del percorso giornaliero sono stati questi tre:

a) la fruizione di una video-intervista al professor Andrea Cavallero a cura di Qualeformaggio.it sul tema del “pascolamento”. Il professore è un’assoluta eminenza sulla materia, “una delle menti più brillanti dell‘agricoltura italiana” (citaz. di Maurizio Gily, agronomo di fama ed ex allievo del professor Cavallero); 14568128_1850631088498449_2232239362189043849_nb) una conversazione appassionata sull’uso degli unifeed (tecnica di razionamento costante) e degl’insilati ai bovini. L’unifeed – altrimenti detto “piatto unico” – è una delle più diffuse metodologie di alimentazione delle bovine allevate industrialmente. La faccenda è un po’ tecnica e molto problematica sia per l’animale che per l’uomo che se ne nutra.

c) il tema vibrante dell’accentramento della produzione – verticalizzazione produttiva – correlato di conseguenza al controllo massiccio delle bio-tecnologie (selezione in laboratorio delle razze più resisteni e fruttuose) da parte di pochi, potenti gruppi finanziari. Un sistema di oligopolio economico che ha portato a questo tipo di scenari monolitici per cui, dalle risorse naturali della terra (vedi soia e mais) e dagli allevamenti intensivi (polli, suini, bovini), i beni e i frutti che se ne ricavano sono concepiti solamente in quanto oggetti, cose inanimate, commodities “neutre” usa-e-getta da sfruttare/ottimizzare al massimo senza interessarsi minimamente delle conseguenze sia sulla salute dell’ambiente che sullo stato psichico/fisiologico del consumatore finale.

14479715_1850576861837205_1867157018597459953_nNonostante la lettura che stavo facendo in quei giorni non fosse delle più allegre riguardo l’industrializzazione agraria, dagl’allevamenti intensivi su centinaia e centinaia di milioni di suini in Cina, alla monocoltura della soia in Mato Grosso estesa a tappeto su tanti milioni di ettari (Stefano Liberti, I Padroni del Cibo. Viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il pianeta)*, è stato quantomeno confortante – ti fa sentire meno abbandonato alle tue paturnie da fine del mondo o paranoie cospirazioniste – ritrovarsi accanto ad altri cittadini coscienziosamente moderati, consumatori attenti, coetanei o altre generazioni di più giovani sensibili al tema dell’alimentazione sostenibile, della consapevolezza ambientale, dell’agricoltura intesa come atto politico, pratica etica applicata al nostro piccolo o grande vissuto quotidiano.14494701_1071259592988589_1129136687565620734_nLa giornata intitolata “Il buon latte esiste e fa bene” è stata organizzata con spirito scientifico, con pacata serietà pedagogica dal compagno di battaglie comuni Stefano Qualeformaggio Mariotti con l’aiuto operativo degli altri amici battaglieri de il pasto nudo, ospitati in un inaspettato angolino di “nobile” campagna in città cioè all’Agriturismo la mucca ballerina in località La Giustiniana (Roma).

img_4361Cosa ho riportato a casa – avendocela una casa – da questa istruttiva ed intensa esperienza?

  1. Il latte come tanti altri alimenti elementari della nutrizione umana (grano, uva, olive, uova, orzo, riso, miele, tè, cacao, caffè) nell’epoca della massificazione del cibo, dell’omologazione del gusto, dei disturbi alimentari globali d’ogni forma e genere, sono sottoposti ad una serie di processi industriali e pratiche di sterilizzazione tecnica – per non dire plastificazione – tali da ritrovarceli certamente in maggior quantità e disponibili negli scaffali dei supermercati del mondo a prezzi accessibili per tutte le tasche ma purtroppo ad assoluto svantaggio della bontà, del gusto, del sapore. A danno irreversibile della sostanza essenziale, del sano valore nutritivo del prodotto di cui mantiene alla fine soltanto il nome di facciata, mentre tutto il resto non è che una parodia liofilizzata, un pallido riflesso condizionato del sapore originario.
  2. La “qualità” è parola magica che come tutti gli abusi verbali tende a svuotarsi di senso se oltre ad agricoltori/allevatori consapevoli della teoria e della pratica contadina, la usano (un uso grottesco ma ben proficuo per loro) anche le comparsate finte come un fondale di The Truman Show che pubblicizzano le fette-biscotte della Mulo Bianco, un bicchiere di Tavernazzo, una spremuta tra le mani d’olio d’oliva fasullo Farcazzoni o Pincopallo. Pensando ad esempio ad una campagna pubblicitaria di turismo culturale troverei aberrante l’utilizzo strumentale del “brand” Giotto o Michelangelo Buonarroti come fossero sterili nomi di loghi commerciali. Il punto quindi è proprio questo, la sostanza dietro agli slogan! Voglio dire non basta, tipo tacchini sapienti, gonfiarsi d’orgoglio e di bocca sbandierando ai quattro venti: “Barolo” o “Brunello” utilizzati quasi come “qualificativi” in sé, ma bisogna identificare zona, tipicità, lavorazioni in vigna/cantina, imparare a conoscere e riconoscere il volto direi quasi del produttore per poter instaurare così un solido patto di fiducia produttore/consumatore altrimenti la qualità effettiva (per carità sempre commisurata al rapporto con il prezzo), l’identità specifica profusa dietro l’etichetta ovvero dentro la bottiglia del barolo o brunello di turno rischiano di restare ami da pesca gettati nel Maremagnum del Mercato dai pescatori-squali del marketing per far abboccare all’esca la massa amorfa dei pesciolini consumatori incoscienti. Insomma, Giotto, tanto per dire, rischia di restare parola vuota se non si è mai stati in visita ad Assisi o alla cappella degli Scrovegni a Padova.
  3. Come misurare allora la qualità di un prodotto? Esercitando magari il proprio sacrosanto diritto da libero cittadino pur se in questa nostra non così libera Repubblica delle Banane: fiscalisita, oppressiva e burocratica a senso unico in avversione proprio dei cittadini liberi. Avvalersi quindi della propria autonoma testa di consumatore critico ricorrendo all’aiuto di qualche gruppo d’acquisto solidale così da sottoporre costantemente a controllo gli alimenti che si intende far analizzare in un laboratorio sperimentale dell’istituto zooprofilattico della propria regione d’appartenenza.

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Qui a seguire scritto dallo stesso Stefano Mariotti nel suo assai informato ed informativo sito di divulgazione online: Qualeformaggio, riporto l’articolo riepilogativo dell’intera giornata di lavoro comune e di partecipata convivialità in cui tra l’altro si anticipa la pubblicazione molto attesa, tra circa un mese, dei risultati delle analisi di laboratorio effettuate sui latti degustati, – analisi svolte da uno dei più autorevoli istituti zooprofilattici operanti nel campo lattiero-caseario.

*“Il sistema integrato carne-soia. 700 milioni di maiali in Cina vogliono dire 73 milioni di tonnellate di soia importate nel solo 2014 da Brasile e Stati Uniti.. solo nel Mato Grosso, i 3 milioni di ettari del 2000 sono diventati oggi 7 milioni, un’estensione pari a metà Inghilterra.” (Stefano Liberti, I Signori del Cibo, Minimum Fax)

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La qualità dei latti si misura: in arrivo le analisi dei primi quattro
 Noi lo sappiamo, lo abbiamo sempre sostenuto con tutti gli argomenti del caso, con tutte le nostre energie, con le ragioni della buona scienza. Assieme a noi lo sanno le migliaia di lettori che ci seguono, che leggono, che approfondiscono, sapendo scegliere le proprie fonti di informazione. Da ieri qualcosa è cambiato però, visto che alcune decine di consumatori in più – quelli presenti al nostro incontro di sabato 1° ottobre (*) “Il buon latte esiste e fa bene”, per l’appunto – hanno piena cognizione della cosa e saranno poi a loro volta divulgatori della verità: per avere un buon latte l’erba e il fieno debbono essere alla base dell’alimentazione animale, non i mangimi.

Spingere le produzioni, forzare la natura delle lattifere significa inevitabilmente abbassare la qualità del latte. Ma anche perdere i micronutrienti nobili, impoverirli, e portare al decadimeno di alcuni macronutrienti, come i grassi ad esempio, che da buoni e utili nel caso di animali al pascolo volgono in non-buoni e dannosi quando la zootecnia è forzata, spinta, industriale.

Il mondo rurale vince, quando è virtuoso; l’industria perde sempre. Lo ha raccontato l’agronomo Fabio Brigliadori, certificatore biologico, che ha curato la parte di sua competenza, all’inizio della giornata, lo ha confermato poi l’esperienza della degustazione comparata di quattro latti interi freschi – due dell’erba e due dei mangimi – a cui è stato aggiunto un uht. Degustazione in cui tutti i presenti, nessuno escluso, hanno trovato differenze già nell’analisi visiva (avorio, giallino i primi, bianco i secondi) ma che nella comparazione olfattiva e gustativa hanno avuto l’inconfutabile responso: da una parte sensazioni come la fragranza, la burrosità, la mandorla, il floreale, tutte nettamente positive, dall’altra l’acidulo, il metallico, il bruciato, il caramellato, il cotto. Dieci a zero e palla al centro.

A guidare la degustazione, il maestro assaggiatore Donato Nicastro, uno dei massimi esperti del settore, con alle spalle una lunga esperienza come responsabile del caseificio sperimentale del Cra-Zoe di Bella, in provincia di Potenza, e poi i disciplinari scritti (e non è come scrivere un articolo!) per formaggi come il Pecorino di Filiano Dop e il Caciofiore della Campagna Romana, Presidio Slow Food. Dopo la degustazione, Nicastro, che oggi è consulente di decine di caseifici artigianali in varie regioni d’Italia, ha gestito un interessante laboratorio di caseificazione, insegnando ai presenti come produrre – in casa o in caseificio – il formaggio cremoso spalmabile partendo da un buon latte, utilizzando per la prima trasformazione fermenti di una tipologia tra le due proposte (eterofermentanti e omofermentanti), entrambi reperibili in farmacia. Dalla seconda caseificazione in avanti, niente più fermenti bensì sieroinnesto, laddove questo può essere conservato in frigorifero o addirittura congelato.

La giornata è poi proseguita a tavola, con la degustazione guidata dei formaggi di tre aziende che basano sul pascolamento (e sulla somministrazione di buon fieno) la loro attività: Valle Scannese di Scanno (Gregorio Rotolo), Casa Lawrence di Picinisco (Loreto Pacitti), Ferrari Biolatte di Pecorile, nel reggiano (Remigio Ferrari). A seguire, un pranzo fuori Solo elogi per Mario Zappaterreno dell’agriturismo La Mucca Ballerina e per la sua cucina, semplice, sapida e naturaledal comune, messo a punto dal padrone di casa, Mario Zappaterreno, titolare con la moglie Daniela Cioara dell’agriturimo La Mucca Ballerina: un’azienda agricola e agrituristica vera, che a tavola porta i prodotti della propria terra, che offre freschezza, stagionalità e sapienza nelle trasformazioni. Mario ha così proposto un menù che a Roma nessun altro che lui è in grado di offrire: a cominciare dal pane di grano Solina (coltivar abruzzese) e sorgo (crea dipendenza a chi conosca il buon pane, ndr), alla pasta all’uovo (uova davvero biologiche) fatta in casa, alle verdure dell’orto, alla polenta realizzata con il proprio mais. Vino biodinamico di buona beva e tanta piacevole convivialità hanno caratterizzato l’allegro desinare.

Ospite inatteso, giunto proprio all’ora del pranzo, in transito da Barcellona verso il Basso Lazio, è stato il professor Matteo Giannattasio, accademico dell’Università di Padova (agronomo, medico), vero e proprio luminare nel campo della buona alimentazione, che – appena circolata la notizia dell’evento – non ha saputo esimersi dal presenziare l’iniziativa “per poter incontrare persone così sensibili a questa tematica e per tornare ad assaggiare dei latti dal gusto antico e sano, prezioso alimento che dobbiamo e possiamo rivalutare”. Alla ripresa dei lavori, nel pomeriggio, il Professore ha cordialmente salutato gli astanti, non prima di essere riuscito a conquistare (come non accontentarlo!?) una bottiglia di latte della Cascina Roseleto, “da centellinare un poco alla volta, nei prossimi giorni”.

La lavorazione del formaggio cremoso spalmabile da latte dell’erba e del fieno è semplicissima e dura due giorni. Qui il riscaldamento del latte in caseificio, operazione iniziale che può essere effettuata comodamente nella propria cucina domesticaLa giornata si è conclusa con l’interessante trattazione del nutrizionista dottor Loreto Nemi, che ha illustrato i risultati della ricerca operata dall’Università di Torino – DiSAFA sui Latti Nobili del Piemonte (rapporto Omega6/Omega3 l’1,1 r l’1,8 !) e su quattro tipologie di latte intero industriale (fresco, biologico, uht e microfiltrato, tutti con rapporto Omega6/Omega3 tra il 4.1 e il 4,7). Nemi ha parlato del miglior contenuto nutrizionale dei latti da mucche nutrite ad erba e fieno: più Omega3, maggiore contenuto di Cla (acido linoleico coniugato) e di acido butirrico, più antiossidanti (sottoforma di betacarotene e vitamina E). Tutti questi micronutrienti sono utili per per il benessere intestinale e per la prevenzione cardiovascolare.

Tanti poi i capannelli creatisi spontanemente dai presenti al momento del commiato. In alcuni di essi è naturalmente montato il proposito di riprendere e rilanciare questa iniziativa in vari ambiti, andando a colpire diversi pubblici: da quello gourmet a quelli del vino e della birra, a quello della ristorazione.

Al secondo giorno la cagliata viene appesa in teli per lo sgrondo del siero, che dura all’incirca una giornataIl piacere di esserci stati manifestato da alcuni dei partecipanti – tra tutti ricordiamo l’allevatrice Valentina Vidor (nella foto di apertura dell’articolo) di Ladispoli e il critico e blogger pontino (Natura delle Cose) Gae Saccoccio – ci permettono di annunciare ai nostri lettori altre edizioni dell’incontro, che mai saranno uguali a sé stesse e che sempre e ugualmente si presenteranno cariche di stimoli, occasioni di conoscenza, dati, informazioni e di quel piacere di condivisione e socialità di cui ogni amante del buon cibo e della buona tavola non può e non deve fare a meno.
Il prossimo appuntamento – ne siamo certi – è già molto atteso dai partecipanti alla giornata romana: tra circa un mese I quattro latti degustati a Roma, le cui analisi di laboratorio verranno prossimamente pubblicate dalla nostra redazione Qualeformaggio presenterà i risultati delle analisi di laboratorio effettuate da uno dei più autorevoli istituti zooprofilattici operanti nel campo lattiero-caseario. Grazie ad esse misuremo finalmente la qualità del latte, che come le qualità degli alimenti in genere è Analisi del latte effettuate negli anni scorsi dall’Università degli Studi di Torino – DiSAFA, per confrontare latti dell’erba (progetto Lait Real) con latti industriali misurabile con esami di laboratorio. Il messaggio insito in questa nostra iniziativa è rivolto a tutti i consumatori, ma in primo luogo ai Gas (gruppi di acquisto solidali), che proprio grazie alla forza del gruppo, alla condivisione, possono e devono utilizzare l’arma delle analisi di laboratorio per sincerarsi, di tanto in tanto, della Qualità Reale del cibo che acquistano.

3 ottobre 2016

(*) organizzato da Qualeformaggio in collaborazione con il blog di cucina consapevole Il Pasto Nudo; svoltosi presso l’agrituriamo La Mucca Ballerina in località La Giustiniana, a Roma