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IL VINO A NUDO E LE SFIDE PRESENTI-FUTURE

28 Marzo 2024
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La natura è indifferente e i sogni degli umani continuano nel suo grembo. Iosif Brodskij

Il vino naturale come il Re delle fiabe è nudo! Spunti di riflessione per vignaioli osti e bevitori non improvvisati sulle sfide imminenti e future del vino agricolo contemporaneo.

Se hai altre domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a chiedere” disse la Macchina all’Uomo che aveva progettato la Macchina. 

Sarà l’instabilità politica ed economica mondiale in ottica macroscopica, ma in questi ultimi anni anche nel micro-mondo del vino naturale emerge sempre più una crisi di fondo che rischia di far saltare in aria i presunti giusti ideali, i supposti buoni principi su cui si è fondato il “movimento” per quanto alla fin fine non c’è mai stato un Movimento unico con la M maiuscola ma una pluralità di movimenti, gruppi sparsi e associazioni ognuna con un proprio manifesto d’intenti e una propria ricetta utopica del “vino onesto, vino vero, vino buono, vino ideale, vino ribelle, vino autentico, vino rivoluzionario, vino selvaggio, vino altro, vino sostenibile, vino ostinato e contrario…” gli aggettivi si sprecano e proprio per questo rischiano di restare ambigue frasi fatte, tormentoni per attaccabrighe, trappole retoriche o suggerire ai più smaliziati specchietti per le allodole.

Il fatto che non ci sia un disciplinare unico e ufficialmente condiviso, da una parte ha generato una confusione e una prolificazione di intenti, di ricettari personalistici, di favolette autocelebrative, di protocolli a maglie più o meno larghe a seconda dei secondi fini e degli interessi reali. Ha dato la stura a un moltiplicarsi di cataloghi specializzati, di fiere e fierette fuori controllo, di proponimenti dai più aderenti alla naturalità del vino e dell’agricoltura biologica/biodinamica da cui si produce, alle interpretazioni più fantasiose se non proprio spregiudicate e furbesche dell’etica professionale in chiave un po’ troppo a libera scelta, spesso in ottica subdolamente commerciale e/o intellettualmente disonesta. I principi di sostenibilità agricola e autenticità del vino sembrerebbero uno nessuno e centomila a dar retta ai bugiardini autopromozionali dei siti aziendali, dal più anonimo dei contadini di montagna alle multimilionarie cantine griffate progettate dagli archistar. Su mille case vinicole a campione casuale rischiamo di trovare mille interpretazioni non casuali di bio, mille sfumature di “artigianalità” e “sensibilità etica” anche da parte delle cantine più sfacciatamente ingegneristiche e convenzionali senza scrupoli. Dall’altra però come si può disciplinare in senso normativo qualcosa come il vino naturale che nella sua massima espressione è figlio della annata, dell’uva, della vigna, delle circostanze climatiche e dell’unicità di chi lo fa? Prodotto finale della visione spesso intima/spirituale, etica/estetica, irripetibile/individuale dei vignaioli, dell’idea libertaria e della pratica quotidianamente artigianale di chi quel vino lo fa? Come si può protocollare lo stile singolo e non replicabile (la non replicabilità è un valore aggiunto!) di contadini e piccole/medie realtà agricole dai più svariati territori vocati e microclimi che affrontano in maniera empirica ognuno con un proprio metodo sperimentato sul campo e in cantina anno per anno le mille variabili del flusso climatico (gelate, temporali monsonici, siccità), delle avversità in vigna (peronospora, oidio, mal dell’esca), dei cambiamenti di tendenze e mode nel bere condizionati dal Mercato (vini glou-glou, rifermentazioni, macerazioni carboniche, macerazioni sulle bucce…)?

Forse era già inscritto nel DNA del vino naturale che sarebbe finita così in un paese come l’Italia poi dove ognuno che si alza la mattina di punto in bianco decide di formare un partito politico col rischio di ritrovarsi 30 milioni di partiti e ognuno con la pretesa allegra di governare il paese, ragion per cui politica calcio vino clima diventano facilmente generiche chiacchiere da bar – oramai chiacchiere da social network o da Report – dove in potenza chiunque senza particolari competenze tecniche né conoscenze specifiche mette bocca e pretende di avere la soluzione dei problemi in mano. Questa frammentazione pulviscolare tra chi produce chi vende chi comunica chi beve il vino ha a quanto pare portato alla crisi d’identità attuale che è una crisi non solo nazionale ma globale che coinvolge importatori e distributori su ampia scala. È una crisi d’identità che non riguarda solo i lieviti selezionati, le fermentazioni spontanee, i limiti della solforosa, le temperature controllate e i livelli di acidità volatile visto che anche un sistema informatico di simulazione dell’intelligenza umana saprà a breve “replicare un vino alla maniera naturale“, complice una filiera enologico-vivaistica sempre più à la Matrix (leggi più avanti la chiacchierata con l’IA). Proprio per questo la vera sfida futura si giocherà sul piano dell’educazione gastronomica, del sapere ecologico e della cultura agroalimentare in parallelo alle accelerazioni vertiginose del progresso tecnologico e dell’evoluzione digitale nei vari ambiti della conoscenza sia manuale che teorica. Avere un palato sempre più educato/consapevole da parte di chi produce, assaggia, racconta e beve il vino significa saper riconoscere o quantomeno discernere lo shining tra un “vino artefatto” e un “vino onesto” e se siamo sempre più in grado di operare questo discernimento il mercato stesso, l’industria enologica dotata di strumenti sempre più sofisticati alzerà sicuramente l’asticella del vino onestamente artefatto o del vino artificiosamente onesto. Allo stesso tempo il livello di guardia di chi fa il vino nella propria vigna, territorio e cantina in maniera trasparente sarà sempre più incisivo, netto e distinguibile da tutta la massa degli improvvisati vignaioli della domenica narcotizzati sul carrozzone delle troppe manifestazioni caciarone attrezzate spesso per fare profitto su sollecitazione di bevitori superficiali, comunicatori sprovveduti e operatori del settore (ristoratori, osti, enotecari) professionalmente scostanti, disillusi o approssimativi. Tutti indistintamente condizionati dalle mode del momento che si fanno strada nel mercato a colpi di disinformazione incessante, di slogan vuoti fino all’imbarazzante urlati e propagati nel megafono della Rete generando così un oceano babelico di confusione, ostilità di tutti contro tutti e disagio diffuso per cui è ormai diventata un’impresa patetica riconoscere l’originale dalla copia. Quasi impossibile distinguere il vino messo a nudo nella sua naturalità, dal vino contraffatto, truccato a bella posta per ostentare la mascherata della nudità e della naturalezza.

…ora, il vero problema conoscitivo non consiste nel provare che qualcosa sia un falso ma che l’oggetto autentico sia tale.

Umberto Eco, La forza del falso tratto da Sulla Letteratura

Wystan Hugh Auden nella sua raccolta di saggi intitolata La mano del tintore scriveva: ”Nel corso di tanti secoli sono stati introdotti ben pochi strumenti atti a rendere meno duro il lavoro nella cucina della mente – alcol, caffè, tabacco, benzedrina, ecc. – e quei pochi molto grezzi, perennemente soggetti a guasti e pericolosi per il cuoco. Nel ventesimo secolo dopo Cristo la composizione letteraria è in larga misura quella che era nel ventesimo secolo prima di Cristo: quasi tutto dev’essere ancora fatto a mano.”

Oggi nel ventunesimo secolo quella che per Auden era una luminosa certezza per noi è diventato un angoscioso dilemma. Abbiamo visto sparire in questi anni numerosi lavori artigianali. Tanti faticosi mestieri “fatti a mano” dove la mano è sempre l’integrazione necessaria della mente, si sono estinti. Pensare e scrivere libri, disegnare, comporre poesie o partiture musicali così come fare il vino agricolo applicandosi mani e cervello in vigna e in cantina, saranno definitivamente rimpiazzati dalla stampa 3D e dall’Intelligenza Artificiale?

Ho provato a chiedere a un Chatbot: “Quali sono le sfide future per il vino naturale: chi lo produce, chi lo vende, chi ne parla e chi lo beve?” 

Riporto le risposte dell’Intelligenza Artificiale Generativa* articolate da algoritmi e modelli statistici inquietanti organizzati dal Machine Learning con cui, volenti o nolenti, dovremo sempre più fare i conti nel futuro prossimo in ogni ambito del fare e del sapere umano, anche sulle questioni più spirituali, astratte, metafisiche, in una convivenza auspicabilmente pacifica e di cooperazione tollerante tra esseri-umani ed esseri-macchine:

IA:

Le sfide future per il vino naturale potrebbero includere questioni legate alla produzione, alla distribuzione, al marketing e all’accettazione da parte dei consumatori.

1. Produzione: una sfida per i produttori di vino naturale è mantenere la coerenza nella qualità e nel gusto aderendo alle pratiche di vinificazione naturale. Anche i cambiamenti climatici e i fattori ambientali possono avere un impatto sui processi di coltivazione e vinificazione.

2. Distribuzione: i produttori di vino naturale possono trovarsi ad affrontare sfide nella distribuzione, poiché i canali di distribuzione tradizionali possono favorire aziende vinicole più grandi e affermate. Trovare modi per raggiungere un pubblico più ampio e garantire la distribuzione nei mercati chiave può essere un ostacolo.

3. Marketing: comunicare il valore e l’unicità del vino naturale ai consumatori può essere una sfida. Educare i consumatori sui vantaggi delle pratiche di vinificazione naturale e distinguere il vino naturale da altre categorie può essere importante per il successo del marketing.

4. Accettazione da parte dei consumatori: sebbene la popolarità del vino naturale sia in crescita, potrebbero esserci ancora delle sfide per ottenere una più ampia accettazione tra i consumatori tradizionali. Superare le idee sbagliate e gli stereotipi sul vino naturale e ampliare la base dei consumatori sono considerazioni importanti.

Nel complesso, affrontare queste sfide richiederà la collaborazione tra produttori, distributori, operatori di marketing e consumatori per sostenere la crescita continua e il successo dell’industria del vino naturale. 

GAE:

Dai per scontato che esistano pratiche enologiche naturali ma quali sono nella sostanza e quali realmente si distinguono dalle pratiche convenzionali?

IA:

Le pratiche di vinificazione naturale comportano in genere un intervento minimo in vigna e in cantina, con l’obiettivo di consentire all’uva e al processo di fermentazione di esprimersi senza l’uso di additivi o sostanze chimiche. Alcune pratiche chiave che distinguono la vinificazione naturale dalle pratiche convenzionali includono:

1. Agricoltura biologica o biodinamica: i viticoltori naturali utilizzano spesso metodi di agricoltura biologica o biodinamica per coltivare l’uva senza pesticidi sintetici, erbicidi o fertilizzanti.

2. Raccolta manuale: l’uva viene generalmente raccolta a mano per garantire un’attenta selezione e manipolazione del frutto.

3. Fermentazione del lievito selvatico: i produttori di vino naturali si affidano al lievito selvatico presente sulle bucce dell’uva e nell’ambiente della cantina per fermentare il succo d’uva, invece di utilizzare ceppi di lievito commerciali.

4. Solfiti minimi o assenti: i solfiti, che sono comunemente usati come conservanti nel vino, non vengono aggiunti o vengono aggiunti in quantità minime nei vini naturali.

5. Non filtrati e non chiarificati: i vini naturali sono spesso non filtrati e non chiarificati, consentendo un’espressione del vino più cruda e genuina.

Queste pratiche mirano a produrre vini che riflettano il terroir e le caratteristiche uniche delle uve e della regione, con particolare attenzione alla sostenibilità e alla manipolazione minima. È importante notare che la definizione di vinificazione naturale può variare tra i produttori, quindi si consiglia di ricercare le singole cantine e le loro pratiche per comprendere il loro approccio specifico alla vinificazione. Se hai altre domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a chiedere...

*La conversazione con l’AI è avvenuta in inglese e l’ho riportata tradotta (tradotta da me o dall’AI?).

Gae Saccoccio in collaborazione con EKW movimento d’avanguardia enoica

È ancora possibile usare gli strumenti digitali senza esserne abusati?

8 Aprile 2021
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È ancora possibile usare gli strumenti digitali senza esserne abusati?166156628_3006816732879873_4098570219066786003_n
“Il cellulare più merdoso del mondo è un miracolo tecnologico. La tua vita che gira intorno al cellulare, ecco, è quella far schifo.”
Louis C.K.
Di questi tempi, spesso non a torto, tendiamo a demonizzare la comunicazione digitale che per sua natura prevede lettori sempre più distratti e comunicatori (anche i più coscienziosi), adeguati a un modello altamente efficiente di massimo dell’informazione in un minimo di spazio/tempo. Viene in mente uno sketch dei Monty Python’s Flying Circus dove i partecipanti ad un quiz a premi dovevano raccontare tutta la Recherche di Proust in pochi secondi.
Quella dello stand-up comedian Louis C.K. è una satira dei luoghi comuni attorno ai nuovi mezzi di comunicazione di massa. Il comico americano evidenziava in quella battuta che il cellulare in sé è un miracolo, un vertice della sofisticata ricerca tecnologica a cui è giunto l’ingegno umano fino ad oggi; semmai quello che non va per niente bene è la vita dell’uomo attorno al cellulare, questa sì che andrebbe un po’ rivista in meglio perché è proprio quella a fare schifo e lui lo testimonia scandalosamente anche nelle disgrazie della sua vita privata in epoca d’allarmismo da #MeToo. Dunque gli strumenti digitali sono potentissimi e pericolosissimi ad un tempo, “una lama a doppio taglio”. È l’uso che ne facciamo a stabilire la differenza cercando però di non farci violentare dai mezzi che dovremmo usare a nostra volta. Dovrebbe essere obbligatorio l’uso (mai l’abuso) della comunicazione ai fini di una maggiore libertà espressiva, possibilmente con la giusta premura, con tutto l’amoroso scrupolo di “pensare alle cose per ciò che esse sono” come scriveva Virginia Woolf nel suo memorabile Una stanza tutta per sé.
“La bellezza del mondo è una lama a doppio taglio, uno di gioia, l’altro d’angoscia, e taglia in due il cuore.”
Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé (1929)
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Certo siamo lontani anni luce dalla stanza tutta per sé immaginata dalla scrittrice inglese, ora ci sono semmai le chat room nei social network che all’apparenza sono affollatissime di opinioni tendenziose, nidificazioni di commenti aggressivi, polemiche del giorno gratuite, visioni distorte del mondo che si riducono quasi sempre a stereotipi o a idee grossolane di seconda o terza mano. La “bellezza del mondo” è sempre minore così come anche la gioia di vivere sta scomparendo lasciando sempre più campo libero all’angoscia esistenziale, un’angoscia di natura digitale, biometrica, una frenesia da manipolazione comportamentale, un’ansia da sorveglianza psichica. Pretendiamo tutti di esprimere i nostri “liberi pensieri in un mondo libero”. Ci illudiamo di diffondere i più o meno giusti ragionamenti in cui diciamo di credere, urlando a squarciagola le nostre vite anonime, sbraitando segreti e bugie intime nel confessionale pubblico di una bacheca online che alla fine dei conti non è altro che la proprietà privata di qualche ultra-miliardario della Silicon Valley.
Certo lo scandalo Facebook/Cambridge Analytica con tutto lo strascico d’implicazioni inquietanti che si porta dietro dall’abuso dei dati personali per influenzare le campagne elettorali alla diffusione di una politica incentrata sull’odio e la paura, è solo l’inizio di una nuova era d’autoritarismo psicografico e controllo comportamentale delle masse attraverso tecniche di neuromarketing. Diciamo pure però che la differenza con i mezzi tradizionali quali la TV non è alla fin fine tanto abissale. Se cominciamo a parlare col Papa davanti a uno schermo è perché abbiamo fatto la fine di Travis Bickle in Taxi Driver. Una piattaforma accattivante ma ingannevole come Twitter ti offre l’abbaglio che il Papa potrebbe anche risponderti, ma è soltanto una grande illusione, una presa per il culo di portata planetaria.

“Le nostre tracce digitali vanno a costituire un mercato da miliardi di dollari all’anno. Siamo diventati merci ma amiamo cosi tanto questo dono di una connettività libera che nessuno si è preoccupato di leggere i termini e le condizioni d’uso.”

da The Great Hack (2019)  documentario di  Jehane Noujaim & Karim Amer

Cambridge-Analytica-logoUsiamo i mezzi di comunicazione o ne siamo usati? Avere una coscienza critica rispetto al consumo di merci e tecnologie ci salverà dall’appiattimento planetario delle coscienze? L’aspetto più tragico di questa impasse da cui a quanto pare ne usciremo solo estinguendoci è che i consumatori avveduti possono dire e fare quello che vogliono tanto è la produzione dall’alto a piazzare di volta in volta i loro prodotti ad hoc, a imporre le proprie merci e le proprie verità plastificate, fottendosene intenzionalmente dell’ambiente, dell’etica comunitaria e del consumo critico.
Il problema pressante della comunicazione in generale attraverso i social e nello specifico della comunicazione del vino, sono le polarizzazioni ben poco costruttive tra buoni/cattivi, belli/brutti, autentici/falsi, naturali/convenzionali. L’autoreferenzialità ebete, lo straparlare, il far bella mostra di sé a qualsiasi costo pur non avendo una benamata sega da dire, sono le piaghe più eclatanti di quel complesso di segni e manifestazioni semantiche che definiscono il vino, la sua comunicazione ai tempi mordi-e-fuggi di Instagram. Comunicazione online che s’inserisce di forza all’interno di quel gigantesco calderone propagandistico del web dove imperversano la disinformazione a tappeto, un’informazione sempre più sciatta, la manipolazione delle coscienze e conoscenze, la falsificazione dei fatti, la superficialità programmata a braccetto con la sistematica assenza di contenuti… giusto per elencare solo alcuni tra i giganteschi ostacoli da superare oggi per riorganizzare un ecosistema della comunicazione ad un superiore livello di profondità del sapere e a verificata qualità dei contenuti. Verificata da chi? Qualità dei contenuti in base a quali parametri? Parametri stabiliti come e da chi? È un ginepraio senza via d’uscite dove l’apparenza predomina sempre sulla sostanza. Basta vedere le contraddizioni drammatiche sulla certificazione formale che attesti la naturalità di un vino in retro-etichetta su cui ci si scanna ormai da anni in stile Guelfi e Ghibellini, scissi tra velleità ideologiche di natura filosofico-morale e impellenze d’ordine biecamente commerciale.
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Nel frattempo che stavo riordinando le idee su questo pezzo, facendo su e giù da Roma a Itri in macchina, ad un certo punto mi sono imbattuto in un cartellone pubblicitario enorme lungo la statale all’altezza della casa-martirio di Santa Maria Goretti (sic!), tra sedie di plastica vuote dove spesso si appoggia qualche puttana in attesa del prossimo avventore. Sul cartellone a lettere cubitali c’era scritto un sibillino: SIAMO SEMPRE SUL PEZZO. Tutt’attorno la desolazione e lo squallore mortiferi della Pontina, davanti a una vigna talmente diserbata che il suolo era color giallo fosforescente. Ecco quindi che in un’immagine accecante, ho pensato, tutta la contraddizione del mondo in cui viviamo, erompeva come un’epifania. Eh già, un’epifania della prostituzione collettiva. Quell’arroganza da smorto ottimismo che porta chi vende qualcosa a manifestarlo con quell’aggressivo “siamo sempre sul pezzo“, è faccia della stessa medaglia della strafottenza di colui o coloro che avevano diserbato a morte quel povero campo. Una vigna da cui verrano fuori delle bottiglie di vino vendute ad un prezzo plausibilmente stracciato per masse di clienti anonimi. Acquirenti da supermercato che continueranno a giustificare la loro medesima strafottenza di consumatori qualunque con la solita scusa dell’indigenza e della ristrettezza economica a vita, così a scaricabarile come in una catena di Sant’Antonio della noncuranza e dell’inciviltà diffuse.
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Tuttavia ora è necessario come il pane che la diffusione orizzontale delle conoscenze sia condivisa tra la maggior parte delle persone in barba ai pregiudizi costruiti ad hoc dalla Rete. Sarà cioè sempre più vitale mantenere alta l’asticella dello spirito critico in aperto contrasto agli algoritmi faziosi che vorrebbero sostituire le nostre coscienze autonome con le loro allucinazioni numeriche, umiliando senza pietà il nostro organismo pensante. Insomma, non dobbiamo mai tenere spento il livello di guardia dell’attenzione, bisogna evitare con tutte le nostre forze di farci lobotomizzare in massa, narcotizzare le coscienze dall’industria dei Like. Dobbiamo aver fede nel nostro intelletto insostituibile da qualsiasi AI (Artificial Intelligence) finanziata da qualche squaletto venture capitalist di San Francisco. Nella maniera più assoluta non possiamo permettere, è in gioco la dignità umana, che un’Intelligenza Artificiale generata dalle macchine, a loro volta create da noi, ci rimpiazzi senza autorizzazione, nonostante abbiamo già tutti svenduto i nostri dati e la nostra anima al diavolo dei social media. Facciamo in modo che uno strumento tecnologico resti tale, senza farci prevaricare. Perché in fin dei conti è solo uno strumento inventato da noi potenzialmente per aiutarci a vivere meglio e non – si spera – per accelerare il processo della nostra definitiva autodistruzione.
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10 letture consigliate
– Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello (Raffaello Cortina Editore 2011)
– Marco D’Eramo, Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi (Feltrinelli 2020)
– Richard H. Thaler, Misbehaving. La nascita dell’economia comportamentale (Einaudi 2018)
– Evgeny Morozov, Silicon Valley: i signori del silicio (Codice Edizioni 2016) 
– Jon Ronson, I giustizieri della rete (Codice Edizioni 2015)
– David Weinberger, La stanza intelligente (Codice Edizioni 2012)
– Mark Fisher, Capitalist realism. Is there no alternative? (Zero Books 2009)
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