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Pouilly-Fumé

Didier Dagueneau Pouilly-Fumé Silex 1999 – 2007

18 Gennaio 2012
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Didier Dagueneau est un extrémiste de la qualité.

Bettane & Desseauve, Le Grand Guide de Vins de France 2009

Undoubtedly the Loire’s most flamboyant vigneron…

Robert M. Parker, Jr., Parker’s Wine Buyer’s Guide Edition 7th

Pouilly-Fumé vale a dire le colline della riva orientale della Loira dove la coltivazione del Sauvignon Blanc impera fin dalla fine del 1800 quando il genocidio vitivinicolo europeo causato dalla phylloxera vastatrix ha reso consapevoli i produttori della valle che lo chasselas (vitigno molliccio, anonimo, abboccato e scialbo equivalente al nostro sud-italico Marzemina Bianca) il quale attualmente rientra nella denominazione Pouilly-sur-Loire non era affatto l’uva più adatta ai terreni calcarei e rigogliosi di selce della zona. Silex, omaggio assoluto alla selce in etichetta tanto col nome quanto con l’immagine, è difatti il titolo della cuvèe più universalmente nota che il geniale, capelluto e barbutissimo come un profeta vetero-testamentario Didier Dagueneau produceva intonando da interprete ultra-raffinato del Sauvignon Blanc un inno maestoso al terroir di Saint-Andelain nel dipartimento della Nièvre. Didier conosciuto anche come “il re  del Sauvignon” oppure “il pazzo di Saint-Andelain” morì tragicamente all’età di 52 anni, abbattendosi col suo aliante il 17 settembre del 2008, ora ci sono i suoi figli Benjamin e Charlotte a proseguire l’opera eccelsa cominciata dal padre vigneron non conforme ai dettami sempre ridicoli, bigotti ed ortodossi di qualsivoglia dogma produttivo, sia esso la biodinamica o la inanimata elaborazione industriale in serie. Su 11,5 ettari per 50mila bottiglie prodotte collaborano una dozzina di esperti vignaioli (cioè un agricoltore professionista per ettaro) più l’utilizzo di cavalli nella lavorazione dei vigneti. L’estrema meticolosità nella coltura e potatura, l’accuratezza nei dettagli più millimetrici nei riguardi della vite, il perfezionismo sfrenato nella raccolta a mano solo dei grappoli ed acini giunti a maturazione ottimale e tant’altro hanno conquistato la fama mondiale a Dagueneau che con ognuna delle sue vendemmie ha potuto competere con i migliori e più grandi bianchi secchi del pianeta enologico. Macerazioni pre-fermentative per guadagnare al vino la più intensa densità aromatica e fermentazioni in botti grandi nuove, in acciaio ed in speciali barrels denominate “cigares” (piccole, ovali e lunghe barriques disegnate da Dagueneau medesimo e costruite appositamente per lui) per donare all’uva il massimo in termini di complessità, delicatezza, eleganza e longevità. Le vigne che rientrano nella cuvèe Silex sono vecchie di 15-50 anni e delimitate a rese bassissime rispetto alle altre quali il Blanc Fumé de Pouilly, il Pur Sang, il Buisson Renard etc. L’annata 2007 è l’ultima fatta da Didier prima della sua morte improvvisa, vendemmia che lui stesso considerava essere una delle migliori di sempre ovvero la congiunzione mistica di tutti gli sforzi da Sisifo fatti in vigna ed in cantina negli anni per perseguire il conseguimento di una maturità aromatica senza eccessi alcolici ed una stupenda concentrazione minerale che dona al vino una parabola d’invecchiamento davvero graziata da Dioniso.

Stappiamo la 1999 e la 2007 di Pouilly-Fumé Silex con due ore d’anticipo, potevamo senz’altro scaraffarle entrambe per ossigenare al meglio un vino dall’aurea compatta, dal temperamento nudo-e-crudo e dall’anima rinchiusa in se stessa come fosse il corpo tenero d’un riccio che avverta il pericolo esterno imminente rappresentato dal contatto umano che è di certo brutale ed invasivo… eppure ci limitiamo a mescere i calici con polso leggero, attendendo con timore e tremor panico i profumi di cedro candito, erbette officinali, la scintilla neolitica della pietra focaia, il retrogusto ancestralmente exotic, il sapore metallico meraviglioso così di una mineralità tutta alcalina che scorre nell’esofago come ruscelletto alpino in piena confluendo nelle primaverili vallate del nostro cuore di ghiaccio che subito si discioglie assieme alla mente, all’apparato respiratorio, alla salivazione e alla memoria consanguinei di questi incomparabili pouilly-fumé che sono terrestre o ancor meglio vialattea rivelazione dei cicli eterni di natura madre. L’equivalente solido ai due Silex, in termini di gradevolezza, sapidità/acidità, soave affumicatura, pizzicore asprino e condensa agrumata sono le tagliatelle di Campofilone stirate a Monte San Giusto (La Pasta di Aldo) mantecate in famiglia tra pochi intimi con emulsione d’olio toscano novello, prezzemolo, aglio e bottarga di muggine dallo stagno di Cabras rifinite con tartare di gamberi rossi ancora vivi più un paio d’unghiette di peperoncino cremisi freschissimo dell’orto tagliuzzato alla forbicina e spolverate d’altra bottarga grattugiata; nota in margine: sempre più acuto ci assale il dubbio circa l’autenticità e l’origine di quest’Oro di Cabras il cui sapore anno dopo anno risulta essere di volta in volta meno concentrato, vigoroso, genuino e forte come invece dovrebbe.

Post scriptum:

A concludere l’arco temporale delle Oeuvres et Jours di Didier Dagueneau incominciate a partire dalla metà degli anni ’80, l’annata 2007, la sua ultima vendemmia dunque è il vero testamento spirituale di un uomo vero del vino di cui si diceva gestisse conservazione, pulizia e manutenzione della propria cantina costruita nel 1989 quasi fosse una cattedrale e non potevamo allora che farne dovuto omaggio (sorta di potlatch e scambio di doni pre-natalizio ovvero magica pozione fumé, ideale per abbinamento su fritto di moscardini bruciacchiati) agli amici veri dell’Abbazia di Montecassino, dono senz’altro più modesto della sublime natività del Botticelli assimilata già da qualche tempo al monastero benedettino nei cui fiorenti archivi bibliografici è custodito con amore di verità e tutela della tradizione il “placito capuano” che documenta la nascita della pre-dantesca lingua volgare scritta e poi diffusa in tutto il mondo neolatino cioè la cellula germinativa dell’italiano moderno: Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti; con altrettanto sentimento di continuità del vero e protezione della bellezza, innalzando il calice sull’ampio panorama cassinese, ci auguriamo in celestiale joi de vivre che i vini sempre immensi di Didier possano essere il seme liquido a partire da cui altri produttori illuminati, artisti della vite, vignaioli scrupolosi ed interpreti dal genio sincero proseguiranno con mano ferma eppur gentile traendone il frutto delle loro mille ricerche in vigna, continui ma costruttivi ripensamenti, travagli spirituali ed intrepide fatiche d’Ercole pure in questi nostri giorni dell’oscura età post-Fukushima.