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Dom Perignon 1990 + Egly-Ouriet Brut Grand Cru Millésime 2000 (Magnum)

15 Marzo 2016
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12806009_1761755994052626_2898227749244813092_nCospicuo il millesimo, bollicina sfolgorante, dorature allo zafferano, pungenze di buccia d’agrumi, aromi di zenzero e zucca candita… eppure perdio, in fondo a tutto sapeva di tappo; lurido, puzzone d’acqua stagna, putredine di carte stracce, infame sughero, cane rognoso d’inferno!IMG_7544Su un gran Comtè del Jura ma il Dom Perignon finisce nel rubinetto e si continua con la magnum d’Egly-Ouriet Brut Grand Cru Millésime 2000 sboccata nel Luglio 2010, niente di così esaltante pure se le aspettative erano notevolmente superiori alla insoddisfacente piacevolezza nel calice: grassoccio di corpo, poco persistente e corto in bocca, fiacco di bolla, stanco forse per tenuta della bottiglia nello specifico o perché è proprio così l’annata, il lotto d’imbottigliamento il dégorgment o chissà.

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Brunello di Montalcino Case Basse Riserva Soldera 2004

9 Marzo 2016
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soldera Riserva 2004Da Emma pizzeria con cucina in via Monte della Farina per festeggiare il compleanno di un carissimo amico responsabilmente Bevitore e Indipendente .

Ogni tanto capita di ritornarci sopra sotto o dentro alla 2004 del Case Basse Riserva di Soldera.

Grandiosa bevuta, picchi insormontabili di toscanezza quella verace, bottiglia dalla luccicanza* smisurata: summa enciclopedica di sangiovesità brunellesca, spremitura mani e piedi dei raggi solari inumiditi alla macchia mediterranea. Caso alquanto raro oltretutto d’un vino inversamente proporzionale alla risaputa – credo risaputa anche da lui – “simpatia affabilità modestia” del produttore il cui nome sventaglia fiero in etichetta. I ragionamenti sul prezzo esoso li rimandiamo ad altra occasione, per il momento basti rilevare un paio di riflessioni contingenti relative al vino e alle genti che lo fanno. In una tina di questa 2004 sarebbe bello annidarsi ed essere nutriti come in una placenta materna; ma poi chi l’ha detto che il vino debba sopravvivere a chi lo fa? È un manufatto elaborato dall’uomo per l’uso dell’uomo no? Bene così dunque!

*The Shining

Soldera Retro

Az. Agricola Valentini Trebbiano e Montepulciano da un Frammento d’Abruzzo alla Totalità dell’Universo

1 Marzo 2016
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annate

Davvero complicato in questi tempi così sospetti, esporsi con concetti quali: tradizione, territorio, identità senza cadere automaticamente nella retorica più sinistra se non addirittura suonare banali, ipocriti e fasulli come la carta-moneta contraffatta con cui anche le grandi industrie alimentari – sostenute dal grigio marketing – ripagano il proprio sempre più disattento pubblico in massa cavalcando l’onda emotiva della tipicità o del burocratico posto d’origine protetto. Un meccanismo diabolico questo per cui anche idee più nobili, le giuste pratiche o le buone esperienze affinate nell’arco dei secoli a misura umana e non su massiccia scala industriale, sono però presumibilmente banalizzate da squallidi slogan commerciali, svuotati di significato per essere più o meno oscuramente diffusi grazie alla persuasione pubblicitaria e alle tecniche di propaganda che risciacquano a batteria il cervello o meglio il palato dei consumatori bombardati quotidianamente di false promesse e consumistiche gioie mai mantenute. 1Eppure, non si potrebbe tentare di riassumere appropriatamente ed esprimere a parole il Trebbiano di Valentini se non attingendo a nostra volta da questo becero abuso terminologico. Ora, al riguardo di questa etichetta oramai iconografica, ritroviamo alle sue spalle una varietà d’uva “originaria”, una “vera” famiglia e un grande vino che riassumono in una bottiglia – in ogni singola e singolare bottiglia – la storia passata e la presente di una parte d’Abruzzo che da secoli sostiene una vertiginosa serie di sconfitte vittorie e sacrifici per dominare gli abusi (della e sulla) natura, così come affronta a testa alta tanto le miserie che gli splendori delle stagioni agricole.

tappi

Luoghi, persone, vini e visioni come questi rappresentati da Valentini sono qui per ricordarci come ogni bottiglia sia così orgogliosamente in piedi sotto forma di bellezza non riproducibile e di bontà fermentata, esprimendo a voce bassa tutta la sua unicità artigianale ed autenticità che insospettiscono le produzioni del vino industriale a catena; quei vini e messaggi promozionali cioè fabbricati in serie sull’ordine della quantità standardizzata, vini che sono tutti uguali a se stessi anche se poi alla fine del ciclo giornaliero, del vino medesimo non è rimasto altro che nulla.

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Trebbiano d’Abruzzo 1998: rusticità con classe; stile, purezza e gloria d’un vitigno “autoctono” riconosciuto da molti estimatori in tutto il mondo. Agire locale, pensare globale questo è un altro slogan e luogo comune ripetuto a memoria da molti sciocchi politiccizzati senza incarnarne l’essenziale poetica in filigrana ma che tuttavia credo possa risultare un po’ meno abusivo nel caso specifico appunto dei vini umani, magnificamente umani di Valentini. 4
Darei per acquisito che si sta ragionando qui di una vera perla rara d’azienda agricola italiana dove si produce olio eccelso e anche grano che in parte anima un gran bel progetto di collaborazione assieme al pastificio Verrigni di Roseto. Ammetto ora che sui Montepulciano – e qualcuno ne ho bevuto negli anni – difficilmente ho ritrovato le stesse scosse magnetiche d’emozione che mi suscita il Trebbiano, quella sensazione di brivido sulla spina dorsale che l’intransigente Nabokov attribuiva alla lettura e quale più sicura controverifica al riconoscimento certo di un capolavoro della letteratura. Devo aggiungere che tra l’altro questa bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo Valentini del 2006 non ha certo aiutato a riconsiderare i miei sentimenti dato che il tappo riportava qualche difettuccio d’astringenza e di secchezza riversata poi inesorabilemente nel contenuto della bottiglia in questione.

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My funny Valentini, giocando a parole su lo standard jazz di Rodgers e Hart, questo il nome calzato ad una

farinèserata di qualche mesetto fa tra gli amici Nasi Scintillanti nel quartiere San Lorenzo a Roma da Farinè di Carlo & Francesca cioè la nostra pizzeria del cuore.

I Trebbiani d’Abruzzo in batteria: 1996, 1998, 1999, 2010 e un Montepulciano 1997 in abbinamento su calzone della settimana con insalata di carciofi violetto, pomodori secchi, olive nere e erba cipollina; pizza pastorale patate e cipolle; pizza con purè di patate dolci (latte caldo in infusione nel macis) e pecorino della Sabina.

Alla domanda se “si può?” rispondo che anzi “si deve!” abbinare il vino alla pizza secondo il criterio della fragranza ed elementarità lievitante d’entrambi gl’alimenti: uva e farine.

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Ancora la ’97 di rosso, in verità è l’ennesima riconferma che il Montepulciano – ma ripeto sarebbe da considerare caso per caso, annata per annata, bottiglia per bottiglia – eppure in genere mi regala sempre minori emozioni del trebbiano e in questo caso ad esempio l’ho trovato velato, confuso al naso sfuggente al palato, grosso di grana, corto in persistenza!

1997

Dato per evidente che la ’96 era in forma davvero splendida devo però aggiungere che nonostante la imprecisa tenuta del tappo – o forse chissà, proprio in virtù di questa “imprecisione”? – sta di fatto la bottiglia di ’98 nella sua evoluta e senz’altro non voluta veste ossidaticcia è stata per me la gemma trebbianica più sfaccettata, struggente ed emozionale della preziosa sequenza!

1996

Ci terrei oltretutto a far notare come nell’apertura d’ogni singola boccia la cosa più notevole ovvero incisiva è quanto ci sia d’indeterminazione e di pura casualità che sfugge all’umano controllo. Voglio dire sembra quasi una sorta di serendipity del bevitore che da una bottiglia di trebbiano e tenendo conto delle poliedriche variabili quali: condizioni dell’annata, mantenimento in cantina, tenuta del tappo, lotto d’imbottigliamento, condizioni di bevuta – ti faccia d’improvviso lampeggiare in bocca dirompenti “mineralezze” da Jura o fascinose impressioni da Sardegna col velo.1998La ’99 si manifesta in gran forma, integrità, limpidezza, corpo anzi per i mie personali parametri di ruvidezza e ricerca senza tregua della disarmonia prestabilita direi che risuona in gola addirittura fin troppo perfettina ed impeccabile, l’impeccabilità e la perfezione, ci mancherebbe, fieramente manifatturiera cioè di un vino tanto sincero ed orgoglioso della sua propria artigianalità delle sue struggenti prerogative territoriali proiettate da un angolino d’Abruzzo verso le infinite aperture dell’universo vinicolo in tutta la sua scremata interezza.

1999

Georges Laval Brut Nature Cumières 1er Cru

29 Febbraio 2016
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Vincent Laval dice che non ha dato particolarmente ascolto ai consigli del padre riguardo vigne vino e vinificazione: “è un lavoro da morirci di fame”. E difatti nonostante questi “incoraggiamenti” paterni, Vincent da Récoltant Manipulant ha continuato in solitaria a prendersi cura dei 2,5 ettari certificati a biologico fin dal 1971 da cui tira fuori le sue belle buone ma sempre troppo poche 9000 bocce o poco più. Cumières è il nome del paese vicino Épernay sul lato destro della Marne, da cui il nome della zona a Premier Cru: “Cumariot”.

2Questa etichetta in particolare è un assemblage di Chardonnay (50%) Pinot Nero (30%) Pinot Meunier (20% ) che è indicata quale Brut Nature a significare che nessuna aggiunta di zuccheri è stata fatta dopo la sboccatura. Neppure un mese fa ho bevuto un Brut Nature di Laval millésime 2011 cuvée “Les Chênes” un Blanc de Blancs (100% Chardonnay) che esce solo nelle migliori annate di grande maturazione ma mi è sembrato però che forse era, e a ragione, ancora troppo presto, leggermente acerbo il quale merita senz’altro di maturare ancora qualche annetto in vetro dopo averne fatti almeno 4 di anni in bottiglia sui lieviti dopo i 10 mesi di prassi d’affinamento in fûts de chêne cioè in tonneau.

George

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Ogni singolo dettaglio – dal trattamento biologico del vigneto al paziente lavoro in cantina – sembrano combinarsi e corrispondere amorevolmente tra loro per rendere questo prodotto artigianale un’espressione di champagne di profonda autenticità, pulizia, succosità e gusto deciso; significativa poi l’acidità a sostegno del velluto frizzante, fragranze floreali, poppute bolle, sapore leale che testimoniano altrettanto d’un sentimento di preservazione della natura accompagnato a fragili ma continui gesti di consapevolezza agricola. Amo Champagne Georges Laval e questi suoi champagne ricolmi di formosa sostanza!

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Albert Caraco, Supplemento alla Psychopathia Sexualis (Es)

29 Febbraio 2016
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Albert Caraco, Supplemento alla Psychopathia Sexualis, Es, Milano (2005) Titolo originale: Supplément à la Psychopathia Sexualis, Éditions l’Âge d’Homme, Lausanne 1983

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Hans Barth, Osteria. Guida Spirituale delle Osterie Italiane (Franco Muzzio Editore)

27 Febbraio 2016
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Hans Barth, Osteria. Guida Spirituale delle Osterie Italiane, Franco Muzzio Editore, Padova (1998). Traduzione di  Giovanni Bistolfi

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