Retrobottega e la centralità degli ingredienti
Giuseppe Lo Iudice & Alessandro Miocchi di Retrobottega in via della Stelletta a Roma hanno un talento ragguardevole nei confronti del cambiamento, il cambiamento dei tempi e della gente nel tempo. La loro è una vera e propria capacità impulsiva di adattarsi al mutare dei flussi di tendenze e persone per trarne il meglio, sempre e comunque concentrati sul cucinare quale gesto artigianale. In fase post-covid durante l’estate appena trascorsa hanno riadattato la loro ricerca inesausta sulle materie prime, sulla trasformazione delle stesse in ottica di fine-dininig, facendone una pizzeria.
“Tornare ad essere popolari, accessibili, poco impegnativi ci sembrava la cosa da fare in questo momento un po’ strano” mi diceva Giuseppe a metà giugno, a quarantena appena finita, quando sono passato da loro ad assaggiare le pizze in teglia buonissime (da farine artigianali di mulini piemontesi) e ho provato, tra le altre super pizze, una focaccia alle pesche con midollo alla brace che ancora me la sogno di notte, tra i sogni gastroerotici più ricorrenti degli ultimi mesi.
Agli sgoccioli di settembre proprio l’altra sera sono ritornato a cena da loro, dopo che a fine agosto hanno riaperto con la formula tradizionale del ristorante ancora una volta focalizzati sulla centralità degli ingredienti, protesi all’essenzialità del gusto, bendisposti al dialogo costruttivo con allevatori, contadini, pescatori e raccoglitori di erbe spontanee.
Ho provato una serie di piatti vegetariani uno più appassionante, stratificato e “selvatico” dell’altro innaffiandoli con un elegantissimo uvaggio di Cannonau e Cagnulari Panevino Cortemuras 2016 di Gianfranco Manca “vignaiolo sulla terra”; un vino terragno, un sorso solare, quintessenza di mediterraneità sarda, ebbrezza prenuragica.Sul tavolo sociale, oltre al menù di carta che poi resta all’avventore quale memoria cartacea della serata, un altro cartoncino con sobrietà e rigore etico illustra la filosofia naturale alla base dei piatti di Retrobottega dove il cibo è innanzitutto nutrimento e non è mai un virtuosistico teorema cerebrale o una sperimentazione gastronomica fine a se stessa ma è quasi una matematica viscerale, un’equazione algebrica/emotiva espressa dalla terra e dal tempo per allietare la mente, per nutrire lo stomaco.I piatti a base di frutti e ortaggi che ho assaggiato l’altra sera sono stati raccontati con la solita diligenza appassionante e generosa disponibilità da Valerio D’Angelo, giovane uomo di sala che incoraggia ad accordarsi ai cicli della stagionalità indicati dal menu, abbarbicandosi mani, pancia e piedi all’euforia estatica ed estetica dell’ingrediente centrale, abbandonandosi senza indugi alla “tenace relazione che ci lega al mondo vegetale”.
CAVOLO
Cavolo rosso e santoreggia cotti alla brace
Tartufo estivo
Cavolfiore rosso
Kefir
Riduzione di cavolo
RISOTTO
Riso riserva san Massimo
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Una fragola
Ravanelli affinati
PASTA
Lumache di semola
Burro acido di interiora tostate di seppia
Purea di patate fermentate
Fiori di finocchio
BARBABIETOLA
Barbabietola cotta due volte finita sul carbone con cipolla di Acquaviva
Avocado pestato
Kefir
Lampone
Dressing miso