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Parla, Ricordo. Nabokov fotismi pareidolie fosfeni apofenie

6 Luglio 2017
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Parla, Ricordo. Nabokov fotismi pareidolie fosfeni apofenie.

“…il comune lettore può riprendere la lettura a questo punto.”

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Il Dono, ad esempio, assume il punto di vista di Nabokov émigré nella Berlino pre-nazista degl’anni ’30, la stessa città descritta in modo sublime da Benjamin in Infanzia Berlinese.19247887_2001678960060327_3773389457409072554_n

Quello della pareidolia è un fenomeno molto ben descritto da Nabokov che nella sua “autobiografia rivisitata” fa parlare il ricordo ammassando e dando forma di scrittura alle macchie amorfe del passato.

A pensarci bene questa forma d’allucinazione visiva e ricostruzione della memoria a posteriori si può tranquillamente estendere a ognuna delle nostre pre-supponenti visioni del mondo: fedi religiose, convinzioni politiche, attitudini morali, innamoramenti, cioè come a dire che l’essere umano attraverso l’ordine del linguaggio e per tramite della coscienza involontaria, cerca di dare senso e forma compiuta al CUI (Caos Universale Incommensurabile) nel quale si trova a respirare per un numero più o meno limitato di ore, giorni, anni. 20139925_2008380589390164_5308409152179326800_n

Così Nabokov in Parla, Ricordo:

<<E neppure alludo alle cosiddette muscae volitantes: ombre proiettate sui bastoncini della retina da corpuscoli nell’umore vitreo e che si tendono visibili sotto forma di filamenti trasparenti vaganti attraverso il campo visivo. Forse, ai miraggi inagogici ai quali sto pensando si avvicina assai più la chiazza colorata, la trafittura di un’immagine persistente, con la quale la lampada che hai appena spento ferisce la notte delle palpebre. Tuttavia, uno choc di questo genere non è in realtà il necessario punto di partenza di quel lento, costante sviluppo delle immagini che trascorrono dinanzi ai miei occhi chiusi.

(…) A volte, tuttavia, i miei fotismi assumono un flou alquanto piacevole, e allora vedo – proiettate, per così dire, sulla superficie interna delle palpebre – grigie figure che incedono tra alveari, o pappagalletti neri che svaniscono a poco a poco tra nevi di montagna o una lontananza color malva che si fonde al di là di alberi di navi in movimento.

(…) Una spirale colorata in una sfera di vetro: ecco come io vedo la mia vita.>>

IMG_2834Vladimir Nabokov in due scatti struggenti: giovanissimo con una collezione di farfalle, magnifica ossessione di tutta una vita, e anziano con suo figlio Dimitri nell’ultima foto che lo ritrae vivo nell’aprile del 1977, morirà di lì a qualche mese. 19665553_2001475046747385_1064324481600484647_n19665614_2001475036747386_4068055241985463173_n

“Lo stile e la struttura sono l’essenza di un libro; le grandi idee sono inutili.”
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Az. Agricola Valentini Trebbiano e Montepulciano da un Frammento d’Abruzzo alla Totalità dell’Universo

1 Marzo 2016
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Davvero complicato in questi tempi così sospetti, esporsi con concetti quali: tradizione, territorio, identità senza cadere automaticamente nella retorica più sinistra se non addirittura suonare banali, ipocriti e fasulli come la carta-moneta contraffatta con cui anche le grandi industrie alimentari – sostenute dal grigio marketing – ripagano il proprio sempre più disattento pubblico in massa cavalcando l’onda emotiva della tipicità o del burocratico posto d’origine protetto. Un meccanismo diabolico questo per cui anche idee più nobili, le giuste pratiche o le buone esperienze affinate nell’arco dei secoli a misura umana e non su massiccia scala industriale, sono però presumibilmente banalizzate da squallidi slogan commerciali, svuotati di significato per essere più o meno oscuramente diffusi grazie alla persuasione pubblicitaria e alle tecniche di propaganda che risciacquano a batteria il cervello o meglio il palato dei consumatori bombardati quotidianamente di false promesse e consumistiche gioie mai mantenute. 1Eppure, non si potrebbe tentare di riassumere appropriatamente ed esprimere a parole il Trebbiano di Valentini se non attingendo a nostra volta da questo becero abuso terminologico. Ora, al riguardo di questa etichetta oramai iconografica, ritroviamo alle sue spalle una varietà d’uva “originaria”, una “vera” famiglia e un grande vino che riassumono in una bottiglia – in ogni singola e singolare bottiglia – la storia passata e la presente di una parte d’Abruzzo che da secoli sostiene una vertiginosa serie di sconfitte vittorie e sacrifici per dominare gli abusi (della e sulla) natura, così come affronta a testa alta tanto le miserie che gli splendori delle stagioni agricole.

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Luoghi, persone, vini e visioni come questi rappresentati da Valentini sono qui per ricordarci come ogni bottiglia sia così orgogliosamente in piedi sotto forma di bellezza non riproducibile e di bontà fermentata, esprimendo a voce bassa tutta la sua unicità artigianale ed autenticità che insospettiscono le produzioni del vino industriale a catena; quei vini e messaggi promozionali cioè fabbricati in serie sull’ordine della quantità standardizzata, vini che sono tutti uguali a se stessi anche se poi alla fine del ciclo giornaliero, del vino medesimo non è rimasto altro che nulla.

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Trebbiano d’Abruzzo 1998: rusticità con classe; stile, purezza e gloria d’un vitigno “autoctono” riconosciuto da molti estimatori in tutto il mondo. Agire locale, pensare globale questo è un altro slogan e luogo comune ripetuto a memoria da molti sciocchi politiccizzati senza incarnarne l’essenziale poetica in filigrana ma che tuttavia credo possa risultare un po’ meno abusivo nel caso specifico appunto dei vini umani, magnificamente umani di Valentini. 4
Darei per acquisito che si sta ragionando qui di una vera perla rara d’azienda agricola italiana dove si produce olio eccelso e anche grano che in parte anima un gran bel progetto di collaborazione assieme al pastificio Verrigni di Roseto. Ammetto ora che sui Montepulciano – e qualcuno ne ho bevuto negli anni – difficilmente ho ritrovato le stesse scosse magnetiche d’emozione che mi suscita il Trebbiano, quella sensazione di brivido sulla spina dorsale che l’intransigente Nabokov attribuiva alla lettura e quale più sicura controverifica al riconoscimento certo di un capolavoro della letteratura. Devo aggiungere che tra l’altro questa bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo Valentini del 2006 non ha certo aiutato a riconsiderare i miei sentimenti dato che il tappo riportava qualche difettuccio d’astringenza e di secchezza riversata poi inesorabilemente nel contenuto della bottiglia in questione.

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My funny Valentini, giocando a parole su lo standard jazz di Rodgers e Hart, questo il nome calzato ad una

farinèserata di qualche mesetto fa tra gli amici Nasi Scintillanti nel quartiere San Lorenzo a Roma da Farinè di Carlo & Francesca cioè la nostra pizzeria del cuore.

I Trebbiani d’Abruzzo in batteria: 1996, 1998, 1999, 2010 e un Montepulciano 1997 in abbinamento su calzone della settimana con insalata di carciofi violetto, pomodori secchi, olive nere e erba cipollina; pizza pastorale patate e cipolle; pizza con purè di patate dolci (latte caldo in infusione nel macis) e pecorino della Sabina.

Alla domanda se “si può?” rispondo che anzi “si deve!” abbinare il vino alla pizza secondo il criterio della fragranza ed elementarità lievitante d’entrambi gl’alimenti: uva e farine.

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Ancora la ’97 di rosso, in verità è l’ennesima riconferma che il Montepulciano – ma ripeto sarebbe da considerare caso per caso, annata per annata, bottiglia per bottiglia – eppure in genere mi regala sempre minori emozioni del trebbiano e in questo caso ad esempio l’ho trovato velato, confuso al naso sfuggente al palato, grosso di grana, corto in persistenza!

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Dato per evidente che la ’96 era in forma davvero splendida devo però aggiungere che nonostante la imprecisa tenuta del tappo – o forse chissà, proprio in virtù di questa “imprecisione”? – sta di fatto la bottiglia di ’98 nella sua evoluta e senz’altro non voluta veste ossidaticcia è stata per me la gemma trebbianica più sfaccettata, struggente ed emozionale della preziosa sequenza!

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Ci terrei oltretutto a far notare come nell’apertura d’ogni singola boccia la cosa più notevole ovvero incisiva è quanto ci sia d’indeterminazione e di pura casualità che sfugge all’umano controllo. Voglio dire sembra quasi una sorta di serendipity del bevitore che da una bottiglia di trebbiano e tenendo conto delle poliedriche variabili quali: condizioni dell’annata, mantenimento in cantina, tenuta del tappo, lotto d’imbottigliamento, condizioni di bevuta – ti faccia d’improvviso lampeggiare in bocca dirompenti “mineralezze” da Jura o fascinose impressioni da Sardegna col velo.1998La ’99 si manifesta in gran forma, integrità, limpidezza, corpo anzi per i mie personali parametri di ruvidezza e ricerca senza tregua della disarmonia prestabilita direi che risuona in gola addirittura fin troppo perfettina ed impeccabile, l’impeccabilità e la perfezione, ci mancherebbe, fieramente manifatturiera cioè di un vino tanto sincero ed orgoglioso della sua propria artigianalità delle sue struggenti prerogative territoriali proiettate da un angolino d’Abruzzo verso le infinite aperture dell’universo vinicolo in tutta la sua scremata interezza.

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Il viaggiatore disincantato

21 Agosto 2015
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Escursione estiva pedemontana attraversando a passo di pandarella ingozzata a gpl almeno tre regioni in direzione dei Monti Sibillini. Come da aspettative risapute, s’incontrano – oramai è pura mitologia rurale, trito cliché da barzelletta paesana – che i finto-agricoltori da The Truman Show figuranti al lato della strada pittorescamente appollaiati sui trattori di rito, inseriti quali comparse anonime, mani sporcate di terriccio da make-up sulla piana scenografica di Col Fiorito stanno solo limitandosi a spacciare, in una coreografia che sa d’oziosa routine, la tanto celebrata patata rossa Désirée – davvero un gran bel nome per una “patata”, rossa oltretutto, che c’apre l’immaginazione porcella a scenari d’orge e bordelli balzachiani. E lo espongono pure fieri quel tubero, quale loro produzione d’Indicazione Geografica Protetta anche se assai presumibilmente è di tutt’altra derivazione ben poco indicativa e per niente affatto protetta, prodotta a Vladivostock,  Černobyl’, Kiev… e la lolitina Désirée – da Balzac passiamo la mano a Nabokov -, si lascia spupazzare, ammanettare, incaprettare – sempre e solo nell’immaginazione erotica ahimè – in quanto Yelena, Yaroslava, Evgeniya o Ekaterina… patatone non più solo rosse bensì russe cioè ucraine.

11800073_1690925097802383_4047092490310877654_nInerpicandosi sulla patatesca piana, prima però ci sono tutta una serie di buche meteoritiche e cantieri stradali giganteschi dagl’altisonanti nomi yankees, che rientrano nel Progetto simil set alla Star Treck messo in scena stavolta da ANAS dove si vorrebbe erigere l’astrofisico Quadrilatero Marche-Umbria-Alfa-Beta con la velleità umanoide troppo umanoide di velocizzare l’asse della statale 77 Foligno-Civitanova Marche-via-Marte-direzione-Plutone che a inerpicarsi per quelle vie strette e curve pedemontane sembra quasi d’essere up and down su una di quelle arterie stradali interrotte di montagna da Tranquillo Week-End di Paura (Deliverance), quale potresti tranquillamente ritrovarti in Georgia, in Vermont o nel Maine.

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Approdati in riviera, sul lungomare di Porto San Giorgio e Porto d’Ascoli costellato dei rinomati giardini tematici ed effettivamente alquanto di buon gusto molto ben preservati, con le schiere innumerevoli delle palme esotic-kitsch ma pure troppi chilometri su chilometri d’abusivismo edilizio con la pala datato anni d’oro-falso ’60-’90 – e non v’è certo bisogno di leggere il Cederna della Distruzione della Natura in Italia per argomentare un tale scempio antropico che ha sfregiato in questi ultimi 4, 5 decenni tutte le coste, i paesaggi ameni e gl’entroterra della penisola, isole comprese se non peggio così che da Bèl sto paese è sempre più Brütt!

image_book.phpCi si ferma su uno dei tanti stabilimenti tra i molti spersi sulla spiaggia che quasi paiono gocce d’alcolici di sottomarca sputate nell’Adriatico; il tempo per un gin ‘n tonic plausibile, accompagnato da canapè monumentali di pizzette senz’anima, fritti di mare surgelato ma pas mal alla fin fine almeno quanto a concretezza, pulizia e tenuta della tempura; insalatine pappose di maionesi in vitro e salse ambigue copritutto, l’immancabile salmone siringato di vitamine spennellato a botte di betacarotene, non troppo esasperanti cruditè del nostro mare (il mare di chi?), ma niente di che, tanto per celebrare in leggiadria la compagnia d’un caro amico ritrovato.

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Via quindi, a passeggio per i borghi sonnacchiosi, le fortificazioni medioevali giallo ocra dell’interno affacciate verso i Balcani, i cui nomi risuonano ancora aspri groppi in gola stratificati da secolari battaglie a ferro, fuoco pietre e sangue dentro/fuori le mura che pare si scandiscano tra fauci e gargarozzo quasi con un’eco pre-leopardiana: Lapedona, Monte Rinaldo, Moresco, Ortezzano, Torre di Palme… che risvegliano in un dialetto antico, ricordi forse mai vissuti al gusto sapido di pangrattato sfritto il giusto intriso a strati impanati così da proteggere un nucleo bollente e solare d’oliva verdognola misto a briciole di pan raffermo, carne rosea, succulenta, umidiccia, fragrante; saporoso e tenero impasto da mordere, setacciare con dita ingorde e lingua, da succhiare come vulva croccante di ragazzotta campestre libidinosa, disinibita, schiusa al coito multiplo continuativo ad libitum.

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Osserviamo quindi basiti lo svolgersi d’un mentecatto Festival estivo che presumerebbe coinvolgere a tu-per-tu il POPolino crasso agl’elevati temi della filoSOPHIA minuta d’avanspettacolo tra un panozzo al ciauscolo ordinato ai baracchini, un piatto d’unta porchetta, olive all’ascolana innaffiate di microbirretta locale. Sul palco attriciuzze d’accademia d’arte grottesca s’aggirano irrigidite come a cagion di pali puntuti da vampiro conficcati su pel deretano fino all’esofago quasi a fuoriuscirne dalla trachea mentre introducono il Nome del Signor Nessuno, il Convitato di Pietra mediocre e l’annunciano con voce sforzata quasi a voler malamente celare – il palo al culo forse? – o un’assai livida stitichezza spiritual-intestinale che le imbruttisce ancor di più. Per non parlare poi del “nessunismo” istrionesco del biancochiomato autore di best-seller da sedia elettrica immediata, invitato a prestabilite nozze sul palco pur di monologare domande e risposte marzullesche se non addirittura ragionier-arturo-filinische: “si facci una domanda si dii una risposta”, col suo baritonale e ancor più odioso/borioso/schifoso doppelgänger. Tuttologista lui, odisseico, dantesco, omericheggiante, pinocchiesco… ma sopratutto molto ma molto paraculista mentre profonde un infelice enciclopedismo cacarelloso da trivial pursuit – ben conscio, sprezzante e prosopopeico del suo onni-prepotente testicolame sapienziale – proprio una bella scienza coatta da fermata del tram la sua, benignamente dilapida senza tregua o imbarazzi di sorta con quel nozionismo smargiasso da liceale cacasotto che sciorina apotropaico ex cathedra degl’assai magri assi-pigliatutto a mo’ di margaritas ante porcos verso un pubblicazzo di piazza ancor più merdoso e banalotto di colui stesso che le declama tali merdose banalità. Un pubblico di yahoo a milioni e milioni sia dal vivo (il vivo tipico delle carogne di videoabbonati a due zampe) che connessi dai laptop o in streaming. Pubblico del cazzo di finto-tonti di gratta-perdenti miserabili da prima serata – lo figuro di medesima stoffa banal-merdesca anche in privato davanti lo schermo TV – ancorché telelobotomizzato da decenni di fiction subumane, quiz a premi per morti viventi ideati da dirigenti trogloditi ad usum di contribuenti ancor più cavernicoli quanto cadaverici, stacchi pubblicitari mortificanti al solo pensarci.davina_dead_setReality da sterminio in massa senza por tempo in mezzo, notiziari che non sono altro che discariche di cronaca spiccia ed autocelebrativa, stadi straboccanti d’amebe urlatrici, cronache sportive e tormentoni pilotati a mestiere, invenzioni di sana pianta, propaganda interessata e ancora abbondantissimi flussi mestruali di gossips, vomito bilioso del pressappochismo che fa notizia, diarrea eterno-ritornante dell’audience… il tutto manovrato da spin doctors a busta paga del politicazzo, palazzinaro, imprenditore o impresario da circo equestre del momento.Unknown

Ma sarà davvero stato così bello e affascinante quando viaggiare non era affatto un dispiacere?