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Az. Agricola Valentini Trebbiano e Montepulciano da un Frammento d’Abruzzo alla Totalità dell’Universo

1 Marzo 2016
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annate

Davvero complicato in questi tempi così sospetti, esporsi con concetti quali: tradizione, territorio, identità senza cadere automaticamente nella retorica più sinistra se non addirittura suonare banali, ipocriti e fasulli come la carta-moneta contraffatta con cui anche le grandi industrie alimentari – sostenute dal grigio marketing – ripagano il proprio sempre più disattento pubblico in massa cavalcando l’onda emotiva della tipicità o del burocratico posto d’origine protetto. Un meccanismo diabolico questo per cui anche idee più nobili, le giuste pratiche o le buone esperienze affinate nell’arco dei secoli a misura umana e non su massiccia scala industriale, sono però presumibilmente banalizzate da squallidi slogan commerciali, svuotati di significato per essere più o meno oscuramente diffusi grazie alla persuasione pubblicitaria e alle tecniche di propaganda che risciacquano a batteria il cervello o meglio il palato dei consumatori bombardati quotidianamente di false promesse e consumistiche gioie mai mantenute. 1Eppure, non si potrebbe tentare di riassumere appropriatamente ed esprimere a parole il Trebbiano di Valentini se non attingendo a nostra volta da questo becero abuso terminologico. Ora, al riguardo di questa etichetta oramai iconografica, ritroviamo alle sue spalle una varietà d’uva “originaria”, una “vera” famiglia e un grande vino che riassumono in una bottiglia – in ogni singola e singolare bottiglia – la storia passata e la presente di una parte d’Abruzzo che da secoli sostiene una vertiginosa serie di sconfitte vittorie e sacrifici per dominare gli abusi (della e sulla) natura, così come affronta a testa alta tanto le miserie che gli splendori delle stagioni agricole.

tappi

Luoghi, persone, vini e visioni come questi rappresentati da Valentini sono qui per ricordarci come ogni bottiglia sia così orgogliosamente in piedi sotto forma di bellezza non riproducibile e di bontà fermentata, esprimendo a voce bassa tutta la sua unicità artigianale ed autenticità che insospettiscono le produzioni del vino industriale a catena; quei vini e messaggi promozionali cioè fabbricati in serie sull’ordine della quantità standardizzata, vini che sono tutti uguali a se stessi anche se poi alla fine del ciclo giornaliero, del vino medesimo non è rimasto altro che nulla.

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Trebbiano d’Abruzzo 1998: rusticità con classe; stile, purezza e gloria d’un vitigno “autoctono” riconosciuto da molti estimatori in tutto il mondo. Agire locale, pensare globale questo è un altro slogan e luogo comune ripetuto a memoria da molti sciocchi politiccizzati senza incarnarne l’essenziale poetica in filigrana ma che tuttavia credo possa risultare un po’ meno abusivo nel caso specifico appunto dei vini umani, magnificamente umani di Valentini. 4
Darei per acquisito che si sta ragionando qui di una vera perla rara d’azienda agricola italiana dove si produce olio eccelso e anche grano che in parte anima un gran bel progetto di collaborazione assieme al pastificio Verrigni di Roseto. Ammetto ora che sui Montepulciano – e qualcuno ne ho bevuto negli anni – difficilmente ho ritrovato le stesse scosse magnetiche d’emozione che mi suscita il Trebbiano, quella sensazione di brivido sulla spina dorsale che l’intransigente Nabokov attribuiva alla lettura e quale più sicura controverifica al riconoscimento certo di un capolavoro della letteratura. Devo aggiungere che tra l’altro questa bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo Valentini del 2006 non ha certo aiutato a riconsiderare i miei sentimenti dato che il tappo riportava qualche difettuccio d’astringenza e di secchezza riversata poi inesorabilemente nel contenuto della bottiglia in questione.

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My funny Valentini, giocando a parole su lo standard jazz di Rodgers e Hart, questo il nome calzato ad una

farinèserata di qualche mesetto fa tra gli amici Nasi Scintillanti nel quartiere San Lorenzo a Roma da Farinè di Carlo & Francesca cioè la nostra pizzeria del cuore.

I Trebbiani d’Abruzzo in batteria: 1996, 1998, 1999, 2010 e un Montepulciano 1997 in abbinamento su calzone della settimana con insalata di carciofi violetto, pomodori secchi, olive nere e erba cipollina; pizza pastorale patate e cipolle; pizza con purè di patate dolci (latte caldo in infusione nel macis) e pecorino della Sabina.

Alla domanda se “si può?” rispondo che anzi “si deve!” abbinare il vino alla pizza secondo il criterio della fragranza ed elementarità lievitante d’entrambi gl’alimenti: uva e farine.

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Ancora la ’97 di rosso, in verità è l’ennesima riconferma che il Montepulciano – ma ripeto sarebbe da considerare caso per caso, annata per annata, bottiglia per bottiglia – eppure in genere mi regala sempre minori emozioni del trebbiano e in questo caso ad esempio l’ho trovato velato, confuso al naso sfuggente al palato, grosso di grana, corto in persistenza!

1997

Dato per evidente che la ’96 era in forma davvero splendida devo però aggiungere che nonostante la imprecisa tenuta del tappo – o forse chissà, proprio in virtù di questa “imprecisione”? – sta di fatto la bottiglia di ’98 nella sua evoluta e senz’altro non voluta veste ossidaticcia è stata per me la gemma trebbianica più sfaccettata, struggente ed emozionale della preziosa sequenza!

1996

Ci terrei oltretutto a far notare come nell’apertura d’ogni singola boccia la cosa più notevole ovvero incisiva è quanto ci sia d’indeterminazione e di pura casualità che sfugge all’umano controllo. Voglio dire sembra quasi una sorta di serendipity del bevitore che da una bottiglia di trebbiano e tenendo conto delle poliedriche variabili quali: condizioni dell’annata, mantenimento in cantina, tenuta del tappo, lotto d’imbottigliamento, condizioni di bevuta – ti faccia d’improvviso lampeggiare in bocca dirompenti “mineralezze” da Jura o fascinose impressioni da Sardegna col velo.1998La ’99 si manifesta in gran forma, integrità, limpidezza, corpo anzi per i mie personali parametri di ruvidezza e ricerca senza tregua della disarmonia prestabilita direi che risuona in gola addirittura fin troppo perfettina ed impeccabile, l’impeccabilità e la perfezione, ci mancherebbe, fieramente manifatturiera cioè di un vino tanto sincero ed orgoglioso della sua propria artigianalità delle sue struggenti prerogative territoriali proiettate da un angolino d’Abruzzo verso le infinite aperture dell’universo vinicolo in tutta la sua scremata interezza.

1999