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Vecchie o nuove maschere e la ragione del più forte

17 Maggio 2019
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Per conoscere bene le cose bisogna conoscerne i dettagli; ma dato che questi sono quasi sterminati, le nostre conoscenze sono sempre superficiali e imperfette. 

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Vecchie o nuove maschere e la ragione del più forte

Aria di cambiamento a Bordeaux? Il messaggio è squillante e chiaro. Château d’Yquem – stando alle dichiarazioni di Arnault – passerà pian pano da un regime biologico alla pratica biodinamica. Sempre lo stesso Arnault, proprietario anche di Cheval Blanc, ha annunciato che potrebbe convertire pure quest’ultima al metodo biodinamico sulla scia di Guiraud a Sauternes, Palmer a Margaux e Pontet-Canet a Pauillac.

Come se la biodinamica fosse un metodo preconfezionato cui basta aderire, una bacchetta magica che converte d’emblée il suolo morto in suolo vivo così, solo annunciando di farne parte. Quando la biodinamica è invece un’abissale Weltanschauung, cioè una vera e propria concezione del mondo e della vita che non si acquista da un giorno all’altro semplicemente possedendo un cospicuo conto in banca che ci arroga il diritto di partecipare a tutto e toglierci ogni sfizio o desiderio che abbiamo.

Vue-du-Cha¦éteau-660x330Ora, fermandosi solo all’apparenza emotiva, sembra una ragionevole presa di coscienza sulla maggiore sostenibilità ambientale da parte di alcuni intoccabili Châteaux a Bordeaux, quindi la propagazione virtuosa di un messaggio propenso alla sensibilizzazione ecologica. Si auspica perciò una ricerca più centrata alla vitalità del suolo, finanziamenti indirizzati a sperimentazioni di biodinamica applicata e approfondimenti scientifici sempre più orientati alla biodiversità etc. Eppure, ragionando nella stessa ottica finanziaria dei privilegiati produttori della zona, che tendono come è ovvio a riportare tutto in uno schema di razionale profitto bancario, temo una estrema banalizzazione dei saperi millenari che la biodinamica intesa quale visione spirituale del cosmo accoglie in sé. Sospetto quindi un superficiale riduzionismo da predatori aristocratici e di conseguenza la semplificazione ingegneristica di pratiche agricole assai più complesse e strutturali della solenne ma forse fin troppo autocelebrativa conversione alla biodinamica ottenuta su carta pagando certificazioni e compilando diligentemente altre formalità burocratiche di rito.

Sono o non sono i più forti produttori di vini pregiati al mondo quelli a Bordeaux, almeno in termini di ragionevole peso sull’economia mondiale del sistema vino? Figurati quindi se Loro non possono permettersi di incarnare l’ago della bilancia nell’attuale scenario enologico tra una viticoltura Tecnocratica e una viticoltura su scala più Umana. Mask-Nahal-Hemar-IMJ-e1394016811214-1024x640Vedo però sfilare maschere nuove che sostituiscono le vecchie. La vecchia maschera del convenzionale incancrenita di pesticidi; la maschera dell’ipertecnologia abusata in cantina; la maschera del diserbo sparato in vigna a isterilire suoli, piante e radici; la vecchissima maschera dell’enologia interventista; a un certo punto appaiono tutte quali trite maschere proprio perché rischiano evidentemente di essere smascherate. Ecco allora che, all’improvviso, tutte queste maschere logore cominciano ad essere sostituite o sovrapposte dalle nuove maschere: la maschera del biologico; la maschera della biodinamica; la maschera dell’ecologismo formale… e la maschera dell’ipocrisia – vecchia o nuova che sia – diventa più vera del volto stesso che dovrebbe esserci sotto. È quella la maschera arcigna adatta ad ogni circostanza, quella maschera immortale che esprime già al solo sguardo l’adagio altrettanto immortale di Jean De La Fontaine e cioè che la ragione del più forte è sempre la migliore.

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Scienza del Vino tra Natura e Cultura

27 Gennaio 2018
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SCIENZA DEL VINO TRA NATURA E CULTURA

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“Idee che oggi formano la base stessa della scienza esistono solo perché ci furono cose come il pregiudizio, l’opinione, la passione; perché queste cose si opposero alla ragione; e perché fu loro permesso di operare a modo loro.”

Paul Karl Feyerabend, Contro Il Metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza

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Chiunque nutra un minimo di passione per il vino, per la vigna, per i processi di vinificazione e per i fenomeni della fermentazione del mosto, non può non leggere almeno l’introduzione a Wine Science di Jamie Goode (Mitchell Beazley Publisher) che è una sorta di laicissimo Discorso sul Metodo Relativista in merito all’applicazione della scienza al vino in prospettiva critica sugli aspetti più deleteri e le pratiche più nocive (trattamenti con diserbanti, pesticidi ed erbicidi, vendemmie meccanizzate, filtrazioni, osmosi inversa, lieviti selezionati etc.) che compromettono un progresso veramente libero, qualitativo e genuino del vino, limitando quanto più possibile il miracolo controllabile della trasmutazione dell’uva in alcol, dovuto appunto agli abusi della “scienza” e all’eccesso di tecnicismi.

Fa davvero specie – o è risaputa e ordinaria amministrazione? – che un libro e un autore tanto intelligenti non siano ancora mai stati tradotti in italiano.77316E5A-C67D-4BD4-97D9-813B27D0E7DC

<<Gli scienziati sono stati spesso colpevoli di sottovalutare o ignorare cose che non possono essere misurate, allora proviamo ad essere filosofici per un momento. Esprimendosi per metafore, molta gente direbbe che il vino ha un’ ”anima”. È abbastanza diffuso trovare persone coinvolte nel mondo della produzione del vino che mostrano una forte percezione che ci sia un elemento “spirituale” in quel che fanno. Difatti credono bisogna operare con integrità per produrre vini onesti che riflettano una fedele espressione dei luoghi in cui essi lavorano. Gli scienziati solitamente trovano questa sorta di attitudine difficile da comprendere, perché idee come queste non possono essere incorniciate in un linguaggio scientifico. Dunque non sarebbe meglio se potessimo stabilire una sorta di dialogo tra gente del vino scientificamente istruita e gl’altri che scelgono di descrivere le loro attività in termini diversi come ad esempio i sostenitori della biodinamica?A69B4A03-72DF-4C0A-9F81-B5A4F8493D6F(…) la scienza è uno strumento utile (addirittura vitale) nel campo della viticoltura e vinificazione, anche nell’ottica di aiutarci a capire l’interazione umana con il vino. Ma non sto affatto suggerendo, neppure per un attimo, che il vino – questo liquido che migliora la vita perché, piacevole, ricco di cultura e avvincente – dovrebbe venir denudato d’ogni cosa che lo rende interessante ed essere trasformato in una bevanda prefabbricata, in un prodotto industriale, tecnicamente perfetto. La scienza è uno strumento che può aiutare il vino, ma questo non significa che il vino debba appartenere agli scienziati. Per questa ragione lascerò il terreno sicuro e familiare che ci si aspetta da un libro sulla cui copertina svetta il titolo Scienza del Vino, per avventurarmi in alcune delle più coinvolgenti questioni che fanno discutere gli appassionati di vino quali il terroir, la biodinamica e la produzione dei vini “naturali”, vini liberi cioè dagli eccessi della manipolazione tecno-scientifica.>>

[tratto da Jamie Goode, dall’Introduzione a Wine Science, traduzione mia.]

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Matassa Blanc 2011+2010 Vin de Pays des Côtes Catalanes

3 Febbraio 2016
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Un vecchio adagio contadino recita:

il miglior fertilizzante per la terra sono sempre le orme dei piedi del proprietario.

Tom Lubbe è un ardito neozelandese la cui concezione della “biodinamica” è tutta giocata nel lavoro continuo ed ossessivo in vigna con un’idea assai precisa sulla filtrazione dei vini senza chiarifiche di cui è convinto assertore per evitare – dice lui – incidenti spiacevoli dovuti a stramberie microbiche, a reazioni batteriologiche incontrollabili cosa che è più facile possa avvenire appunto coi vini non filtrati.Matassa Blanc Nel 2001 acquista una piccola vigna di vecchieviti (2 ettari) di Carignan nel Roussillon a 500/600 metri di suolo granitico sul livello del mare chiamata appunto Matassa sulle colline dette Coteaux du Fenouillèdes nel sud della Francia alle pendici dei Pirenei. Lubbe oltre ad aver vissuto e lavorato in Sud Africa per una donna straordinaria Louise Hofmeyer dell’Estate Welgemeend, per qualche vendemmia dal 1999 al 2002 si è fatto le ossa al Domaine Gauby con Gérard Gauby un altro produttore geniale della zona di cui sposerà la sorella. La prima annata è la 2002 e stiamo parlando di nemmeno 2000 bottiglie affinate sia in botti demi-muids di circa 500 litri che barriques nuove solo per un terzo. Già dal 2003 Lubbe acquista altri vigneti nella stessa zona un po’ più in basso attorno al paesino di Calce, e si tratta per lo più di vecchie vigne di 60 e 120 anni di media preservate dall’estinzione in gran parte varietà mediterranee quali Carignan, Grenache, Macabeu, Grenache Gris, Muscat d’Alexandrie, Muscat de Petits-Grains…  Ad oggi Domaine Matassa detiene 14 ettari assieme ad uno status mitologico nel piccolo-grande mondo dei produttori e bevitori di vini biodinamici comme il faut.

Ho trovato questa 2011 di Matassa Blanc (Grenache Gris 70% da vecchie vigne e Macabeau 30%) piacevolissima sia da annusare che da bere. Bevuta sostanziosa per equilibrio della grana minerale, la persistenza al palato. Impeccabile per pura pulizia dell’agrume di fondo e per l’armonia dei legni fusi alla perfezione con l’acidità. Nonostante fosse metà gennaio “in the bleak midwinter” a cena con un carissimo amico dall’altro comune amico Arnaldo della Taverna Pane e Vino in pieno centro a Cortona, ci è sembrato proprio di dissetarci ad una fonte d’eterna limpidezza quasi fosse una rinvigorente limonata estiva in abbinamento non-plus-ultra con l’invernale cavolo nero su crostini tostati di pane integrale “sciocco” (sciapo).

ps.

Ritrovo in bozza le note di degustazione ad una precedente bottiglia di Matassa Blanc aperta lo scorso anno:

Matassa Blanc 2010  – Matassa Blanc 2010

Fermentazione spontanea di Grenache Gris e Macabeau assieme ai propri lieviti indigeni in botti demi-muids entro cui il vino rimane ad invecchiare per 18 mesi, neppure 5000 le bottiglie prodotte. Al naso sbuffa fin da subito una folata di brezza marina che trascina con sé salsedine e odor di sassi; pungente la buccia di limone alle narici su scintille d’affumicature delicate non così preponderanti o invasive sia chiaro. Al palato è una crema grassa, un’opulenza sfarzosa sì ma mai eccessiva, trama di burro fuso con salvia, rosmarino, mentuccia selvatica sapientemente intrecciate ed altre erbette aromatiche di macchia mediterranea; rimpolpata balsamicità dal retrogusto pieno al punto di perfezione e maturità d’una pera appena colta dal ramo. Da ristappare almeno ogni anno… from here to eternity!

Marabino Noto Nero D’Avola (2013)

12 Gennaio 2016
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Marabino Noto 2013

Dalla DOC Noto Nero d’Avola alla tavola dai miei a mitigare i fumi leguminosi d’una ciotola di zuppa invernale – pàst’ e fasügl’ – eloquente nella sua umilissima celestialità.

Pierpaolo Vivuvino.. ma che trama melogranata, che sanguigno amalgama il  tuo Marabino!

Quale succulenza d’arance rosse in questo bel rosso ruggente da “terra ianca” e da luce tanta appena è stagione! Terra coltivata ad arte in piena cognizione di cause-effetti-sapienze applicate da te – da voi di tutta l’azienda agricola – con energica misura e afflato ai dettami pratico/teorici dell’agricoltura biodinamica.

Past e fasugl