Spontaneità e imprevedibilità della fermentazione

21 Febbraio 2020
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Spontaneità e imprevedibilità della fermentazione

Mercoledì 19 Febbraio da Porthos ho partecipato al primo di due seminari dedicati alla “fermentazione spontanea: competenza nell’imprevedibilità”.

Giacomo Buscioni, agronomo esperto in microbiologia del vino ci ha illustrato l’ecologia microbica del grappolo. A partire dalla pubblicazione de Le malattie del vino di Louis Pasteur (1866), durante la serata si sono approcciati alcuni dei temi più incalzanti quali la diversità e l’uguaglianza genetica nei ceppi di lieviti; la paleochimica dei Saccharomyces cerevisiae; i lieviti autoctoni di cantina e non di vigna.
La traccia della fermentazione spontanea rilascia una propria carica d’energia al vino che è caratterizzata proprio dall’imprevedibilità dove per imprevedibile non si intende necessariamente un’attitudine fatalista improntata alla sciatteria o il lasciar fare al caso in cantina da parte del vignaiolo, ma prevede anzi una maggior cura e una decisiva competenza umane al minimo d’interferenza possibile in antitesi cioè alle omologanti scorciatoie enologiche preordinate e in barba ai ricettari banalizzanti dell’enologia preconfezionata.CACD370C-5498-4F91-AB7B-39F251AA574E
Avevo già assistito ad un intervento molto approfondito di Buscioni sul tema delle fermentazioni spontanee e le fermentazioni guidate a Capestrano, la primavera scorsa nell’ambito di Naturale. Il ragionamento di fondo della sua conferenza ruotava sempre attorno a questo tema inesauribile di conoscenza dell’imprevedibilità. In quei due giorni a Capestrano avevamo anche imbastito una degustazione/conversazione in pubblico assieme ad alcuni vignaioli coinvolti nella discussione intitolata: “Il vino artigianale nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. È nelle fermentazioni spontanee che si possono ritrovare l’unicità, la profondità e la complessità non riproducibili dei grandi vini naturali pensati bene e fatti meglio.
Sandro Sangiorgi nel cappello introduttivo ha proposto una digressione dovuta sull’enologia italiana degli anni ‘70 del secolo scorso facendo riferimento alle indicazioni preziose di scienza contadina sostenute da Mario Incisa della Rocchetta prima del Sassicaia dell’epoca Tachis/Supertuscan quando cioè Incisa propugnava un ideale prettamente agricolo e pre-ingegneristico di vinificazione rurale materializzato in un Bianco della Casa da consumo domestico indicato in etichetta con la scritta orgogliosa e inequivocabile: OSSIDATO.
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• 1) Marino Colleoni Società agricola Santa Maria Bianco Ansonica amabile 2017
• 2) Denis Montanar Borc Dodon Vino bianco da tavola 2014
• 3) Nino Barraco Nero d’Avola 2009
• 4) Cantina Giardino Tu Tu Campania Fiano 2017
• 5/6) Menti Ossido Vino bianco 2013
• 7) Giovanna Morganti Podere Le Boncie Le Trame 2011
• 8) Giovanna Morganti Podere Le Boncie Tondale 2011
saccharomyces-cerevisiae-500x500Questi i vini in degustazione assaggiati alla cieca durante la serata. Due batterie da 4 vini ciascuna nonostante le referenze fossero 7 poiché l’Ossido di Menti è stato servito due volte come fosse un vino diverso proprio perché anche alla vista in bottiglia si presentavano come due vini completamente distinti in ragione di un’ossidazione e sfumature aranciate più spinte nella bottiglia numero 6.
Tre vini toscani, un friulano, un siciliano, un irpino, un veneto. Sette referenze e ben otto espressioni singolari di fermentazioni spontanee, tutte virate su temperature calde in qualche misura “condizionate” dal compimento più o meno svolto di trasformazione degli zuccheri.
1) L’ansonica di un grande brunellista è amabile già nelle intenzioni. Rifermentazione consapevole, sorso un po’ faticoso. Ossidazione affatto spiacevole, caramellina d’orzo, polpa di mela a tutto spiano che rimanda al calore di uno Chenin in versione moelleux e ovviamente a un Calvados.
2) Acidità volatile cospicua, vino di una certa tensione e acidità d’agrume un po’ acerbo. Note lattiche, vomitino di neonato che tuttavia non allontanano anzi ne fanno un sorso di Tocai Friulano da selezioni massali, che rianima il palato e disseta la beva. Anche qui nonostante la salinità di fondo vien fuori un impreciso richiamo zuccherino. Un giorno di contatto sulle bucce e 8 mesi in acciaio sulle fecce fini.
3) Acidità sostenuta, sensazione di confusa dolcezza da zucchero residuo non tramutato in alcol. Note d’affumicato, stallatico, ossidazione e salamoia che alla cieca portavano con la memoria al sud Italia (Puglia immaginavo, un Negroamaro, mentre siamo in Sicilia, a Marsala per l’esattezza, ed è un Nero d’Avola.)
4) Alla cieca e con gli occhi chiusi al naso ero sicuro fosse uno Zibibbo pantesco o una Malvasia di Candia Aromatica, insomma un vitigno aromatico, opulento anche se con poche tracce di buccia – dov’è il tannino? – da macerazione spinta così come invece avrebbe dovuto presentarsi una volta scoperta l’etichetta visto che il Tu Tu è un signor Fiano da 30 giorni di contatto sulle bucce in anfore di terracotta con 6 mesi in botti di ciliegio più altri 6 mesi d’affinamento in anfore di grès. Man mano scaldandosi nel bicchiere paradossalmente veniva fuori una maggiore carica d’acidità volatile a sgrassare l’opulenza aromatica.
5/6) Di Menti ne avevo scritto anche qui in occasione di una bella degustazione di vini dall’impronta vulcanica. Come detto poco più sopra, la 5 e la 6 sono il medesimo vino solo che per ragioni legate probabilmente alla tenuta del tappo, i vini risultavano diversi seppur provenienti da una botte nella quale si è formata la fioretta, da qui il nome del vino Ossido. Sulla carta probabilmente la numero 5 era quella più somigliante alle intenzioni del produttore, a mio parere invece è un po’ troppo ammorbidita dallo zucchero mentre nella 6 una maggiore ossidazione ha concluso un vino più spiritato, più asciutto e austero che ho preferito visto che voleva essere ossidato come racconta il suo stesso nome.
7/8) Le Trame (Sangiovese, Colorino, Mammolo, Foglia Tonda) di Giovanna Morganti è uno dei miei vini del cuore, qua ne ho scritto anni fa, nello specifico a proposito dell’annata 2006. La 2011 è stata un’annata molto problematica, un’annata irrazionale per la stessa Giovanna, con le bottiglie che spesso riscontravano situazioni rifermentative. Ai primi assaggi alla cieca ho percepito la stoffa del vino in bocca d’impronta piemontese, nebbiolesca avrei detto. Legno equilibrato, asciuttezza tannica, calore alcolico. Sandro sollecitava con insistenza il confronto tra i due vini, ma era assai difficile scorgerne la stessa matrice d’uve, di vigneto e di mano, visto che il Tondale (numero 8) era la raccolta dell’uva dalla stessa vigna de Le Trame (numero 7) della stessa annata, solo raccolta in fase di appassimento per cui la bottiglia numero 8 per i primi minuti nel bicchiere presentava un notevole manto di carbonica che poi è quasi evaporato, quadrando tuttavia il cerchio su tonalità dolci di cacao amaro, dense e pepose.
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