Natural cycles. Quattro giorni a New York

10 Dicembre 2021
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Rufus McGarrigle Wainwright
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Natural cycles. Quattro giorni a New York
Ricicli naturali.
I giorni scorsi ero passato a SoHo per vedere se il leggendario Buffa’s Deli tra Prince e Lafayette fosse sempre lì. Ahimè Buffa’s è stato chiuso anni fa. Ho chiesto a un cameriere giovane nel nuovo posto ma non ne sapeva nulla, ricordava prima ci fosse “a Delicatessen” mi ripete più volte, non ha saputo dirmi altro.
Rischio di suonare su tonalità troppo nostalgico lagnose, ma questa è una città che soprattutto nella ristorazione ha una fretta bulimica, si autofagocita per rinnovarsi con gli abbagli modaioli del nuovo, ovvero tanta fuffa posticcia odierna che in genere nasce già morta. Un’idea di moderno fasullo stylish e senza neppure un briciolo di sostanza originaria del locale che ha sostituito. Al posto del mitico Buffa’s c’è ora la Pecora Bianca che dell’autenticità italo-americana di Buffa’s mantiene solo l’inferriata sui vetri riverniciata a nuovo.

image3In taxi da SoHo verso il JFK airport.

Sempre a SoHo, ancora in Prince street, ma potrebbe tranquillamente essere via dei Condotti, Rue de la Paix, Oxford street, via Monte Napoleone, GinzaCauseway Bay e il risultato non cambia.

La gentrificazione urbana fa si che miseria ed eleganza del mondo appaiano scontate, ciclicamente naturali, siano cioè percepite ovunque allo stesso modo quali regolari, indifferenziate soprattutto agli occhi di chi guarda senza vedere, ovvero la gran parte della popolazione – ormai tramutata in masse di telespettatori o followers – che magari passa la vita in periferie disumane anche queste tutte ugualmente grigie e uniformi, brutte tutte alla stessa maniera in ogni città del pianeta.
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 La distanza sociale più sicura dagli altri a questo punto resta solo la scomparsa, la sparizione dagli altri. L’assenza come quella di Bartleby lo Scrivano.
The next day… Bartleby did nothing but stand at his window in his dead-wall revery.
Herman Melville, Bartleby, the Scrivener (1853/1856)
Il giorno dopo… Bartleby non ha fatto altro che starsene alla finestra perso nelle sue fantasticherie da vicolo cieco.”
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Flânerie newyorkesi.
Ogni volta che approdo a New York la cosa che amo più di tutte è camminare. Attraversare isolati su isolati da sud a nord, da est a ovest. È la città perfetta per smarrirsi nei propri vagheggiamenti da flâneur a passo svelto o a rilento come se si avesse a disposizione tutto il tempo dell’universo per attraversare l’isola in lungo e largo quasi fosse un’Amazzonia composta di cemento, suoni esotici, odori multiformi, tribù etniche metropolitane.
Alla vista di certe vetrate a specchio dei grattacieli sterminati che contengono il grigiore infinito degli impieghi, delle banche, delle agenzie o organizzazioni varie mi attanaglia un’angoscia cosmica; un groppo in gola soffocante al pensiero di tutti quei loculi illuminati come tanti obitori che ospitano per anni i silenzi, qualche gioia forse e i tormenti di milioni, milioni di Bartleby davanti ai vicoli ciechi delle loro regolari vite d’ufficio a stipendio.image1 2
A memoria perenne del Ground zero.
Premesso che bisogna sempre andare a fare le pulci a giornali e giornalisti per valutare la verosimiglianza di certe affermazioni, al tempo dell’attacco alle Torri Gemelle l’uscita di Karlheinz Stockhausen che paragonava gli attacchi terroristici alle Twin Towers a un’opera d’arte mi erano sembrati molto infelici nel senso che il musicista tedesco con quelle esternazioni ha cercato la provocazione sciacallesca su un fatto di cronaca epocale per mettersi in mostra e non perché ci fossero dietro chissà quali profonde valutazioni etiche ed estetiche. Ma questo forse è quello che è stato travisato da giornali e lettori come nel gioco del telefono senza fili dove la parola bisbigliata all’orecchio del primo vicino arriverà completamente distorta all’ultimo dei giocatori nella catena umana di frasi suggerite da una bocca nell’orecchio all’altra. Un meccanismo tossico questo del telefono senza fili che mi pare sempre più diffuso nel nostro mondo digitalizzato e che anzi fa la gioia dell’algoritmo dei social il quale tende a polarizzare tutto nella dialettica primitiva di nemico/amico, bianco/nero escludendo di proposito qualsiasi approfondimento alternativo che apra alla complessità, al dialogo, alla conoscenza.

image2«Volevo solo dire che Lucifero è tra noi, come provano i fatti dell’11 settembre, che non ho mai visto perché non ho la televisione, ma che considero un capolavoro luciferino nel senso di massima furia criminale e distruttiva». Così a qualche anno dai fatti ha tenuto a puntualizzare Stockhausen il suo pensiero, dopo che era stato rinnegato dalla comunità intellettuale che per alcuni anni ha cancellato i suoi concerti in Germania.image0 3

Il Memorial 9/11 resta una “esperienza architettonica” fondamentale a rappresentare la nostra tragica contemporaneità. La scenografia geometrica che inquadra alla perfezione il nostro fatale Tramonto dell’Occidente. Un monumento sublime in termini kantiani: suscita angoscia e fascinazione. Opera vertiginosa in bilico tra il panico esistenziale e la speranza di sopravvivere a qualcosa che è più grande e profondo di noi. Lo scroscio dell’acqua continua in quei pozzi neri della storia attuale, rimanda al boato ciclico dei grattacieli che crollano senza interruzione. Dalla cenere al vapore acqueo. Dalle torri di Babele ai granelli di roccia metamorfica di cui è sostanzialmente costituita Manhattan. Di una bellezza straziante. Anche qui, uno smisurato senso di vertigine spaziotemporale stritolato da vuotoassenza, impotenzasparizione, scomparsa, rabbia, gli stati d’animo predominanti dell’angoscia. Il sublime kantiano è questo appunto. Si ama il mare in tempesta anche perché fa paura, suscita un terrore incommensurabile davanti all’immane che ci sprofonda in sé come un pulviscolo di polvere epidermica risucchiato nel frenetico buco nero della natura.

Con gli occhi magnetizzati in alto al vertice piramidale della Freedom Tower che suscita l’illusione ottica di crollarti addosso, dopo un pò abbasso lo sguardo a terra sul marciapiede dove trovo la scritta CONGELA IL TUO SPERMA che mi riporta immediatamente alla fondazione della realtà effettiva di cui è amalgamata ogni città al mondo: sperma, sangue e cemento.
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